L’inflazione in America a ottobre è stata del 2,6%, in salita rispetto al 2,4% di settembre. Il dato, al netto delle componenti più volatili, è rimasto invece fermo al 3,3% senza variazioni rispetto al mese precedente. In entrambi i casi le aspettative degli investitori sono state confermate. Dopo l’uscita del dato le probabilità di un taglio della Fed a dicembre sono salite e oggi i mercati lo scontano con una probabilità superiore all’80%; solo ieri mattina, invece, le probabilità erano di poco superiori al 50%.
Il dato include componenti con andamenti opposti; al calo dei prezzi della componente energetica (-4,9%) e delle auto usate (-3,4%), si contrappone un rialzo del 4,8% dei servizi che include il 4,9% del costo delle abitazioni. Gli investitori ieri si sono però concentrati sul dato “supercore” che, escludendo i costi delle abitazioni, è sceso rispetto al dato di settembre. Lo scenario emerso crea comunque i presupposti per un ulteriore taglio dei tassi soprattutto se dovesse rallentare il mercato del lavoro.
I dati di ottobre, ancora una volta, ci dicono che l’inflazione percepita è molto diversa a seconda delle fasce di reddito perché, per esempio, l’acquisto di un’auto usata, i cui prezzi scendono, non è la priorità di chi fatica a tenere il passo degli incrementi degli alimentari. Lo stesso si può dire dei prezzi degli smartphone, in calo del 10%; anche in questo caso è un acquisto discrezionale che si contrappone agli incrementi di oltre il 7% dei costi delle riparazioni delle auto o del 14% dell’assicurazione auto. Scorrendo la composizione del dato aggregato il tema di fondo è la divaricazione tra i prezzi dei beni “discrezionali” e quelli “non discrezionali”. Sono dati che fanno da sfondo all’esito elettorale di una settimana fa con Kamala Harris, vice-presidente di Biden, colpita e affondata dal “caro vita”.
Come da diversi mesi ci sono due modi di osservare gli stessi dati. Da un lato, si può privilegiare il fatto che l’inflazione non abbia sorpreso al rialzo e che sia comunque in calo rispetto ai dati di un anno fa. Questo crea uno scenario favorevole a un ulteriore taglio della Fed che da diversi mesi sembra voler privilegiare il mercato del lavoro. Si può invece con qualche ragione sostenere che l’inflazione, comunque la si guardi e soprattutto con i dati “core”, continui a rimanere sopra l’obiettivo del 2%. L’inflazione da servizi rimane poi robusta nonostante alcuni segnali di rallentamento dell’economia americana. Siamo di fronte a una fase inflattiva durata molto oltre e molto di più di quanto si potesse immaginare nel 2021 e alimentata da politiche fiscali e monetarie che non erano così espansive da più di una generazione.
Nei prossimi mesi potremmo assistere a fattori contrastanti. L’effetto base dovrebbe far ripartire i prezzi delle auto, mentre, all’opposto, la recente risalita dei rendimenti delle obbligazioni statali americane, del dollaro e, forse, un’economia un po’ più debole delle attese alla viglia degli acquisti di Natale potrebbero agire in senso opposto. È possibile che a questi fattori si sommi l’eccesso di scorte accumulato dalle imprese in preparazione ai dazi di Trump.
Il mercato ha già preso le proprie scommesse dopo l’esito elettorale, ma l’economia dei prossimi mesi, inflazione e occupazione inclusi, sarà, nel bene o nel male, ancora quella dell’Amministrazione Biden e qualsiasi cosa abbia veramente in mente il Presidente eletto non avrà effetti ancora per molte settimane. Tutta la pressione esercitata dalla campagna elettorale intanto viene meno e questo crea le condizioni perché lo stato dell’economia americana emerga chiaramente.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.