L’inflazione americana a gennaio è salita al 3% dal 2,9% del mese precedente; al netto delle componenti più volatili, energia e alimentari, il dato è stato del 3,3% contro attese del 3,1% e in rialzo rispetto a dicembre (3,2%). L’incremento, congiunturale, sul mese precedente (+ 0,5%) ha fatto segnare il valore più alto da agosto 2023.
Dopo la comunicazione i mercati sono passati a scontare un solo taglio dei tassi della Fed nel 2025, non prima di settembre, mentre ieri si oscillava tra uno e due tagli di cui il primo già a giugno. I principali mercati azionari americani, letto il dato, hanno aperto in territorio negativo prima di recuperare in parte verso la chiusura. Il rendimento del decennale americano è salito al 4,6% e rimane vicino ai massimi dal 2007.
Mezzora prima della pubblicazione del dato il Presidente americano pubblicava sui social un invito alla Fed ad abbassare i tassi perché “vanno mano nella mano con i dazi”. Settimana scorsa il segretario del Tesoro Bessent spiegava che il suo focus non sono tanto i tassi della Fed quanto il rendimento del decennale. L’America oggi dovrebbe rifinanziare il suo debito a tassi che sono il doppio della media 2009-2022 su un debito cresciuto molto. Negli ultimi mesi dell’Amministrazione Biden si è scelto di attutire il problema concentrandosi sulle emissioni a breve spostando il problema sul 2025.
C’è un secondo angolo del dilemma perché i tassi a lungo influenzano le valutazioni degli asset finanziari molto più di quelli a breve. Nel 2024 la somma di tassi più alti e di deficit fiscale record hanno consentito a economia e mercati di continuare a marciare con gli investitori che potevano sperare in una riduzione graduale dell’inflazione verso il 2%. L’Amministrazione Trump appare invece determinata a tagliare il deficit mentre gli ultimi dati sui prezzi mettono la Fed nella condizione di non poter tagliare i tassi.
Rimangono sul tavolo alcune forze inflattive di lungo periodo che è difficile ignorare. Le guerre commerciali sono inflattive, così come l’invecchiamento della popolazione nella misura in cui toglie offerta di lavoro dal mercato. Le tensioni geopolitiche, soprattutto in Medio Oriente, contribuiscono a creare uno scenario di rischi per i prezzi. L’Amministrazione Trump ha deciso di togliere dal tavolo due forze inflattive e cioè il deficit e, soprattutto, la transizione energetica. Rimangono però tutte le altre.
Se l’America non può alzare i tassi, perché l’inflazione non scende, ci sarebbe anche il problema del cambio perché il rafforzamento del dollaro non fa bene alla guerra commerciale di Trump. Forse l’Amministrazione americana, soprattutto nella prima parte del mandato, non disdegnerebbe un rallentamento economico o una crisi nella misura in cui aiuta a rifinanziare il debito e a contenere l’inflazione.
Lo scenario attuale, infatti, presenta dilemmi difficilmente risolvibili; il punto in cui emergono è proprio l’inflazione che riappare nel discorso prima ancora che si sia partiti veramente con i dazi.
Se i mercati finanziari mandassero segnali di allarme si riaprirebbe immediatamente la polemica con il Presidente della Fed che ha contraddistinto il primo mandato di Trump. L’inquilino della Casa Bianca potrebbe anche vincere la sua battaglia e far abbassare i tassi a Powell, ma a quel punto solo una recessione risolverebbe il problema dei prezzi.
L’inflazione americana continua a non avere un corrispettivo in Europa e questo si spiega facilmente con la crisi delle due principali potenze manifatturiere del continente: la Germania e l’Italia schiacciate da una crisi energetica che non ha soluzione dentro i confini delle “sole rinnovabili”. Quello che succede in America però arriva anche in Europa, per esempio, sotto forma di incremento dei rendimenti obbligazionari come si è visto benissimo ieri. Non è l’unico effetto e altri se ne intravedono sulle materie prime.
Dopo l’inflazione l’attenzione si sposterà sui mercati che devono ancora tirare le somme delle tante novità di queste settimane dai dazi agli sviluppi geopolitici e infine, dopo ieri, anche sui prezzi.
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