L’inflazione negli Stati Uniti ad agosto si è fermata al 2,5%, in linea con le previsioni, ai minimi degli ultimi tre anni e mezzo e in calo rispetto al 2,9% di luglio. Invece il dato core, al netto delle componenti più volatili, è rimasto fermo al 3,2% di luglio e i prezzi, rispetto al mese precedente, sono saliti più delle attese allo 0,3% contro previsioni dello 0,2%. Le probabilità di un taglio dei tassi di 50 punti base nella riunione della Fed di settembre sono scese e, a oggi, sembra confermato solo un taglio di 25 punti base. Il dato di agosto conferma quanto sia stata eccezionale la fase inflattiva iniziata a metà 2021; oggi l’inflazione rientra nonostante i segnali di rallentamento dei consumi siano evidenti già dal secondo trimestre. Il peggioramento del ciclo economico, che in questi giorni viene confermato, per esempio, dal settore auto, aiuterà a contenere i prezzi e la Fed potrà concentrarsi sull’obiettivo del massimo impiego tagliando i tassi per sostenere il mercato del lavoro.
Prima di archiviare questa fase e passare oltre è utile fermarsi sul dato di agosto. Dentro l’inflazione al 2,5% ci sono i prezzi delle auto usate che scendono del 10% e le spese per abitazione e trasporti che invece salgono del 5,2% e del 7,9%; anche gli alimentari fuori casa salgono ancora del 4%. L’incremento dei prezzi degli ultimi tre anni e ancora ad agosto ha comportato conseguenze molto diverse a seconda del reddito delle famiglie. Si può rimandare l’acquisto di un’auto, ma è più complicato risparmiare sul cibo, sulla casa o sui trasporti. Anche ad agosto per alcuni i prezzi sono saliti molto di più di altri. La fase inflattiva che si chiude per il peggioramento dell’economia ha, ancora oggi, effetti che rischiano di perdersi se ci si limita al dato sintetico.
Da qui in avanti il ritmo dei tagli dei tassi sarà dettato dal deterioramento del ciclo economico e in particolare dal mercato del lavoro. Fare previsioni è difficile perché sia gli incrementi di prezzo che quelli salariali si sono distribuiti meno uniformemente che in altre fasi. Chi ha beneficiato delle condizioni eccezionalmente positive del mercato del lavoro strappando aumenti salariali oggi può mantenere o persino aumentare i consumi; dall’altra parte ci sono fasce della popolazione particolarmente vulnerabili perché i prezzi sono molto più alti di quelli del 2021.
Quello che accadrà nei prossimi mesi non è necessariamente indicativo del trend di lungo periodo. L’invecchiamento della popolazione, la fine della globalizzazione, i deficit pubblici, la transizione energetica e gli investimenti in difesa rimangono forze inflattive di lungo periodo. Proprio ieri Jamie Dimon, ad di Jp Morgan, nel corso di una conferenza ha dichiarato che “il peggiore degli scenari è la stagflazione, recessione e inflazione” e che non esclude questa possibilità. Le forze inflattive sono tante e tali che nemmeno una recessione potrebbe contenerle.
Questo è lo scenario per gli Stati Uniti e il resto del mondo. Anche per questo chi può cercherà di limitare i danni comprimendo i costi per le famiglie in ogni modo.
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