L’inflazione a gennaio negli Stati Uniti ha fatto segnare il livello più alto dal 1982 con un incremento annuale del 7,5%. Gli alimentari sono saliti del 7% facendo registrare l’aumento più alto dal 1981 con carne e uova ampiamente sopra la doppia cifra. Gli incrementi della benzina sono superiori al 40%; in un continente che “gira in macchina” non solo per ragioni culturali ma strutturali il rincaro è doppiamente negativo. Il mercato ha immediatamente scontato una maggiore probabilità di un incremento del tasso di sconto ufficiale di 50 punti base a marzo. Il rendimento del decennale americano ha raggiunto i massimi dal 2019 portandosi dietro anche i titoli di stato europei e, ovviamente, lo “spread”. Segnaliamo che nonostante la probabilità di una stretta a marzo il prezzo del petrolio ieri è salito ulteriormente portandosi a quasi 93 dollari al barile (Brent).
Vuol dire che per far scendere l’inflazione serve questo e altro. I prezzi dei fertilizzanti sia negli Stati Uniti che in Europa, che viaggiano tra il doppio e il triplo di dodici mesi fa, indicano un’ulteriore impennata dei prezzi degli alimentari. L’indice di gradimento del Presidente Biden continua a scendere a poco più di sei mesi dalle elezioni di mid-term. Sulla politica e sulla Fed la pressione per “fare qualcosa” aumenta perché i salari reali vengono mangiati dall’inflazione che, oltretutto, non sembra essere riflessa completamente in alcune componenti del paniere: per esempio, quella su affitti e immobiliare. Gli incrementi su alimentari, benzina e bollette elettriche si scaricano sui ceti medi e medio bassi in modo maggiore. Vestiti, medicine e servizi medici, infatti, abbassano la media, ma sono voci che eventualmente si possono tagliare.
Come notava il capo economista di ING dalle colonne del Wall Street Journal, il dato di ieri “non è incoraggiante per la Fed nella sua battaglia per riportare l’inflazione all’obbiettivo del 2%”; infatti, “i rialzi dei tassi non possono nulla per risolvere i problemi delle catene di fornitura o la mancanza di personale”. Il rischio è che per riportare l’inflazione al 2% la Fed, che è in ritardo, rompa la crescita e causi danni in un sistema economico che è fragile. La curva dei tassi americani prezza l’errore della Fed e sconta tutti i rischi per la crescita e l’economia di un percorso di rialzo dei tassi che in uno scenario di inflazione così “anomalo” rischia di far deragliare l’economia.
La questione è politica. Oggi quello che conta è un’inflazione che mette all’angolo il ceto medio, le giovani famiglie e chi si è appena affacciato sul mondo del lavoro. Lo scollamento tra partito democratico e Biden di queste ultime settimane è il segnale di quanto sia politicamente sensibile quello che sta avvenendo. Meno di tre giorni fa il portavoce della Casa Bianca, Psaki, ha preso le distanze persino dai lockdown: “non abbiamo spinto sui lockdown” e “non siamo stati pro-lockdown”. È l’effetto di un malcontento che monta e che deve essere “placato” con un rialzo dei tassi e la fine, più prima che dopo, delle restrizioni.
Il rialzo dei tassi americano si scarica in Europa in modo del tutto particolare mettendo a nudo i difetti di costruzione dell’euro che distorcono le normali e sacrosante dinamiche di mercato con esiti grotteschi. Ai Paesi indebitati manca la valvola di sfogo della svalutazione monetaria che non è la panacea di tutti i mali, anzi, ma può essere in alcuni frangenti la migliore delle opzioni o il minore dei mali. L’euro per la cronaca non è stata la valuta che ha costretto l’Italia alla disciplina fiscale. Finora, anzi, è stato vero l’esatto contrario. Anche durante la pandemia e ancora per tutto il 2021. Più passano i mesi, più sarà evidente quanto il rialzo dei tassi americani, e non solo, metta in difficoltà l’Unione europea. Essa può difendere l’euro, ma, sospettiamo, a costi altissimi e pagando un prezzo politico salato. Dover lottare per la sopravvivenza finanziaria con politiche fiscali restrittive in un contesto geopolitico così sfidante è un enorme handicap.
Certamente governare questa fase in Europa richiede una forte presa della “politica” sulla società.
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