Il 12 marzo verrà diffuso il dato tendenziale annuo dell’inflazione Usa riferito al mese di febbraio. Nel presente intervento si stima un tasso del 3,1% con un intervallo al minimo del 3%; tutto questo dovuto alla permanenza media del prezzo del petrolio al barile Wti in un intervallo tra i 73 e i 78 dollari, che viene considerato dal sottoscritto il principale fattore di innalzamento del livello generale dei prezzi, data la sua influenza su ogni settore produttivo e commerciale; a seguire si hanno i tanti scompaginamenti sulle catene logistiche dovute alla rottura delle catene merceologiche delle forniture mondiali di merci e in ultimo la persistenza continua di ampi disavanzi del deficit federale; tutto questo insieme di fattori ha come unico contraltare operativo il livello dei tassi dei Federal funds al 5,25-5,5%.
La contrapposizione, però, non è efficace, in quanto in tale scenario l’altezza dei tassi di interesse fa poco, contro le varie cause che portano all’inflazione; lo stesso esame dell’indice Cpi e Cpe, cioè quello core, nel mostrare la diversa dinamica di incremento dei prezzi dei vari lati degli ambiti produttivi e commerciali, non dve far cadere nell’errore di credere che si stanno esaminando le cause primarie del fenomeno inflativo, quanto, al contrario, la diversa dinamica di incremento e temporale della reazione dei vari settori economici alla variazione dei prezzi.
Ad esempio, è del tutto ovvio che settori come quello degli affitti o dei trasporti registrino in questo momento gli incrementi più sensibili, in quanto i relativi mercati di riferimento hanno i listini dei prezzi e i canoni di locazione che non variano immediatamente, ma lo fanno anche con un anno di ritardo; stessa spiegazione è valida per altri settori che seguono dinamiche simili, come le assicurazioni, la struttura dei costi ospedalieri, ecc. In modo apparentemente contraddittorio si osservano i prezzi dell’energia tout court in diminuzione, ma questo, come si ribadisce, non è altro che un fenomeno ottico dovuto all’enorme livello assoluto raggiunto per i carburanti e prodotti derivati; la loro mancata crescita, anzi accennata decrescita, non significa per nulla diminuzione dell’inflazione, in quanto gli altri settori produttivi devono comunque incorporare nella loro dinamica industriale grandi incrementi assoluti dei prezzi petroliferi e in misura minore del mercato del gas.
Piuttosto, diventa interessante fornire un’immagine concreta del perché con ampi disavanzi federali e tassi di interesse al 5,5% l’inflazione non demorde; l’esempio è il seguente, cioè immaginare un’azienda che riceva una commessa statale di 2 milioni di dollari non avendo liquidità aziendale; è chiaro che con un progetto pubblico approvato ed esecutivo, l’azienda in oggetto ottiene tutta la liquidità desiderata dal sistema bancario, avendo solamente un incremento di costi per i tassi di finanziamento più alti; si vede dall’esempio come in questo caso più i tassi di interesse sono alti e più danno il loro contributo ad accrescere l’inflazione; se al contrario, l’azienda del nostro esempio non avesse avuto nessuna commessa statale e si fosse trovata con vincoli di liquidità, i possibili finanziamenti ricevibili sarebbero stati bassi e costosi, e ciò in linea generale avrebbe facilmente dissuaso la stessa a cercare di contrarre finanziamenti per intraprendere attività produttive; questo effetto sarebbe stato di diminuzione della domanda e per tale via di diminuzione alla spinta dell’inflazione; questo è l’esempio canonico in cui l’inasprimento del livello dei tassi di interesse ha efficacia nel contrastare l’inflazione.
Ma come abbiamo ricordato svariate volte non è questo il caso degli Usa nell’attuale congiuntura macroeconomica e internazionale; in sostanza, da una parte si chiudono le porte e dall’altra si aprono finestre più grandi delle porte.
Per tali motivi, si è sempre sottolineato che la guidance attuale dei tassi Fed va a ricadere soprattutto nell’aspetto della formazione delle aspettative degli operatori, nazionali e internazionali; la Fed, mantenendo il tasso di riferimento al 5,5%, informa gli operatori che il futuro ha margini di rischiosità da affrontare con cautela, e questa cautela dovrebbe portare a un indebolimento della domanda aggregata per poi far diminuire il fenomeno inflativo.
Invece, molto più problematico e impegnativo per gli Stati Uniti è il legame tra il livello dei tassi Fed e il livello del tasso di interesse benchmark per eccellenza del mercato obbligazionario, a dirsi cioè il Treasury a 10 anni; si può affermare che in questo frangente la relazione sia del tipo ordinata avendosi i tassi Fed mediamente più alti di un punto del tasso del Treasury a 10 anni; in sostanza, un operatore di mercato non può indebitarsi per comprare titoli e guadagnare; se avvenisse il contrario, con i tassi Fed minori del livello dei Treasury a 10 anni, significherebbe di fatto essere entrati nella spirale tassi-inflazione-non governabilità del debito pubblico. Teniamo anche presente che comunque la non controllabilità del debito pubblico si avrebbe intorno a tassi Fed del 7,5-8% e questo è un ulteriore limite sia all’azione della politica monetaria che di quella valutaria.
In altre parole, oggi non esistono le condizioni degli anni ’80 in cui l’allora Governatore della Fed Paul Volcker per contrastare un’inflazione, comunque da shock sull’offerta, portò i tassi al 18% circa; in quegli anni il Presidente Reagan inaugurò una politica più intensa di deficit federali, soprattutto il riarmo spaziale e missilistico, mentre la nazione aveva un debito pubblico pari al 30% del Pil. Qui giungiamo all’altra questione molto delicata per gli Usa di questi anni e cioè un debito netto da partite commerciali della bilancia dei pagamenti pari a 17.000 miliardi di dollari, detenuto in giro per il mondo; questo debito all’interno viene finanziato dal debito pubblico, mentre all’esterno è detenuto da creditori, il primo dei quali è la Cina con circa 3.500 miliardi.
Qui si aprono gli scenari molto complessi che riguardano il dollaro come valuta benchmark degli scambi internazionali e della composizione delle riserve delle Banche centrali.
È insomma uno scenario dinamico e con forti aree di criticità che stanno spingendo a una redifinizione globale del sistema dei pagamenti internazionali. Tutto questo ha la sua ricaduta drammatica sull’inflazione degli Usa.
giovanniricci669@gmail.com
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