Il dipartimento del lavoro americano ieri ha comunicato il dato sull’inflazione di aprile; i prezzi sono saliti dell’8,3% rispetto all’anno scorso con un incremento leggermente inferiore rispetto all’8,5% di marzo. Siamo comunque vicini ai massimi degli ultimi quarant’anni e il dato è stato superiore alle attese che si erano posizionate su un incremento dell’8,1%. 



La componente legata all’energia si è leggermente raffreddata, mentre quella legata agli alimentari è peggiorata al 9,4% dall’8,8% del mese precedente. La componente “core” dell’inflazione, che esclude energia e alimentari considerati volatili, è peggiorata dallo 0,3% mese su mese di marzo allo 0,6% di aprile. Il prezzo alla pompa negli Stati Uniti oggi è superiore alla media di aprile. Significa che l’inflazione non è destinata a scendere nel breve periodo e, anzi, che potremmo vedere un ulteriore incremento.



È per questo che le aspettative di rialzo dei tassi ieri sono salite. Non potrebbe essere diversamente dopo il discorso di Biden di martedì in cui il Presidente americano ha dichiarato di considerare l’inflazione la prima priorità di politica interna e ha apertamente invitato la Federal Reserve a fare il suo lavoro. Nonostante l’inflazione, la spesa per consumi in America non sta rallentando; a marzo è salita dell’1,1% rispetto al mese precedente. Bank of America settimana scorsa ha dichiarato che la spesa “sulle” carte di credito e di debito è salita ad aprile. In questo quadro, con la domanda che sembra anelastica, la Fed non ha altra scelta se non quella di continuare ad alzare i tassi. 



Sotto questo trend che sembra continuare senza pause si nascondono elementi interessanti. Il primo è che la spesa per consumi è spostata sulle classi più abbienti; significa che sotto il dato aggregato si nasconde una fetta di popolazione che in senso assoluto consuma poco, ma che ha patito l’inflazione molto più che proporzionalmente. Per questa categoria continuare a consumare come prima è già un problema che finisce solo marginalmente nelle statistiche economiche, ma che alimenta un problema politico e sociale molto più ampio di quanto non dicano i numeri.

Il secondo elemento è che mentre le aspettative di inflazione sul breve termine non cessano di salire, quelle sul medio-lungo termine cominciano a flettere. Il costo dell’energia, che non viene risolto con le rinnovabili, quello degli alimentari e quello importato con la rottura delle catene di fornitura sono, come ha notato anche Biden, esterni e fuori dal controllo americano. Bisognerebbe quindi chiedersi cosa ci sia dietro il calo delle aspettative di inflazione a medio-lungo termine in uno scenario in cui i problemi energetici, alimentari e commerciali non si stanno risolvendo. Il sospetto è che il mercato, nemmeno troppo velatamente, stia scommettendo su una recessione che facendo collassare la domanda alla fine agisce anche sui prezzi. 

La questione politica è come mai sia preferibile far scendere l’inflazione con una recessione in un contesto geopolitico esplosivo piuttosto che, per esempio, ricorrere a fonti energetiche meno costose e affidabili oppure perché si continui a spingere sul bioetanolo a discapito di produzioni per uso alimentare. Oppure, ancora, perché, è il caso europeo, si puniscano i consumatori imponendo certificati verdi su imprese che non possono far altro che passarli sui prezzi finali. È una domanda a cui non sembra esserci una risposta immediata. 

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