Per la prima volta da ottobre l’inflazione americana è salita meno delle aspettative con incremento dei prezzi ad agosto dello 0,3% rispetto al mese precedente contro lo 0,5% atteso e lo 0,9% del mese precedente. A rallentare rispetto a luglio sono stati in particolare i prezzi delle auto usate, comunque più alti di oltre il 30% rispetto ad agosto 2020, e quelli dei “biglietti aerei”. I prezzi dell’energia sono saliti di oltre il 20% rispetto a un anno fa e quelli per la benzina di oltre il 40%. L’inflazione è lo spettro che si aggira sui mercati perché potrebbe costringere le banche centrali ad alzare i tassi o comunque a far rientrare, almeno in parte, le politiche espansive con cui si stimola l’economia.
Abbiamo imparato nelle ultime settimane che l’inflazione di questi mesi viene considerata “transitoria” eppure la narrazione comincia a vacillare. Negli articoli di commento al dato che si trovavano ieri sui principali organi di informazione economica venivano sollevati dubbi sulla transitorietà del fenomeno. Molte società hanno cominciato solo da qualche mese a passare l’incremento dei prezzi sui consumatori con un aumento dei listini; la ristrutturazione delle catene di fornitura globale impone al sistema costi maggiori che vengono riflessi nei prezzi. I costi energetici sono in salita e senza una discesa che oggi non si vede avranno un effetto di medio lungo periodo sui prezzi. Sempre negli Stati Uniti si monitora attentamente l’andamento degli affitti che continuano a salire in un mercato che non lascia intravedere rallentamenti nemmeno nel prossimo futuro.
Questi elementi si stanno facendo strada tra gli economisti che oggi anticipano una pressione inflattiva più ampia e duratura nei prossimi trimestri. Rallenta la componente dell’indice più transitoria e volatile ma quella più duratura rimane alta. In un mondo “normale” le banche centrali potrebbero o dovrebbero alzare i tassi, ma non siamo in un mondo normale. Nel 2021, dopo i lockdown, i debiti statali e societari sono un multiplo di quelli di due anni fa. Qualsiasi rialzo dei tassi avrebbe un effetto molto superiore e comporterebbe costi molto più alti e difficilmente sostenibili in un tessuto sociale ancora convalescente. Questa è la ragione per cui le banche centrali non vogliono alzare i tassi.
C’è un secondo problema. Perpetuare una situazione in cui i tassi sono molto più bassi dell’inflazione ha effetti pessimi sui bilanci delle banche commerciali e sul loro conto economico e alla lunga non è sostenibile perché metterebbe in crisi i sistemi bancari in molti Paesi; non solo quelli considerati fragili o irresponsabili.
Se l’inflazione non è temporanea le banche centrali dovranno alzare i tassi oppure sacrificare le banche commerciali. Per questo bisognerebbe rimuovere qualsiasi elemento “esterno” che spinge l’inflazione al rialzo sia sulle catene di fornitura globale, sia, soprattutto, sui prezzi energetici. Lo scenario attuale è sostenibile solo per un breve lasso di tempo altrimenti si aprono ferite troppo profonde.
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