L’inflazione americana a novembre si è fermata al 3,1%, in leggero calo dal 3,2% di ottobre; l’inflazione “core”, al netto di alimentari è energia, è rimasta invece invariata rispetto al mese precedente fermandosi al 4,0%. Il dato riflette componenti con andamenti opposti; al calo dei prezzi delle auto usate (-3,8%) o alla stabilità di quelle nuove (+1,3%), si contrappone la crescita del 10,1% dei costi per i trasporti, del 6,5% per l’abitazione, del 5,5% dei servizi e del 5,0% delle spese mediche.



L’inflazione è sensibilmente più bassa del picco dell’estate 2022, ma la sua discesa è meno ripida di quanto probabilmente speri la Fed. Le attese per la riunione di oggi sono ferme su una conferma dei tassi ai livelli attuali. L’attenzione, a meno di sorprese, è su quello che accadrà nel 2024. Il mercato si attende un’inversione di politica monetaria e oggi sconta quattro tagli dei tassi americani nel 2024 e più del 50% delle probabilità che il primo taglio arrivi prima di maggio.



L’andamento dei prezzi è un fattore chiave per le decisioni che prenderà la Fed; oggi, con l’inflazione core al 4%, è ancora complicato tagliare. L’incremento dei prezzi emerge, anche a novembre, dove fa più male, nei servizi e nelle voci di costo meno comprimibili. Questo spiega la grande dispersione di opinioni, tra famiglie e consumatori, sullo stato di salute dell’economia. Il dato sintetico non spiega che per una fetta della popolazione, quella che è non è riuscita a spuntare incrementi salariali, la perdita del potere d’acquisto è stata notevole; all’opposto c’è chi è riuscito a recuperare tutto il potere d’acquisto o a migliorarlo sfruttando un mercato del lavoro effervescente. La dispersione è anche tra regioni e paesi, con agli estremi quelli che hanno visto gli incrementi salariali più ampi e diffusi e quelli in cui lo shock è stato assorbito dai salari.



Negli ultimi tre mesi le aspettative sui tassi degli investitori sono state stravolte. A settembre a malapena si scontavano tagli dei tassi per il 2024 e tre mesi dopo almeno quattro; esattamente come a dicembre 2022 si scontavano rialzi dei tassi molto inferiori a quelli che poi sono arrivati nei dodici mesi successivi. Il mercato fatica ad approcciare lo shock inflazionistico degli ultimi due anni e una fase di rialzi dei tassi con pochi paragoni. Gli investitori hanno fretta di tornare al paradigma che ha funzionato bene per due decenni: inflazione bassa e tassi compressi.

Se l’inflazione scende, complici i rialzi dei tassi e il rallentamento economico, e torna rapidamente verso il 2%, allora non è cambiato veramente nulla a parte una lunga parentesi che si può ascrivere alla somma dei lockdown e delle tensioni geopolitiche. Se invece l’inflazione scendesse lentamente oppure riemergesse alla prima inversione delle banche centrali bisognerebbe cominciare a fare i conti veramente con un nuovo paradigma. Se, infine, il successo nella lotta contro l’inflazione arrivasse in uno scenario di recessione grave, allora bisognerebbe cambiare metro di giudizio; tanto più severa è la recessione che serve per abbassare l’inflazione, tanto più è vero il nuovo paradigma.

Almeno per tutta la prima parte del 2024 si rimarrà concentrati sull’andamento dei prezzi che è la validazione necessaria delle attese degli investitori: fine del ciclo di rialzi e inversione rapida entro il terzo trimestre dell’anno prossimo.

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