Nella giornata del 14 novembre è stato diffuso il dato tendenziale annuo dell’inflazione Usa riferito al mese di ottobre, che è risultato essere del 3,2%, quindi inferiore di 0,1 punti alla stima riportata da Bloomberg che raccoglie le attese di operatori del mercato di Wall Street. Nel mio intervento di stima, invece, avevo indicato un valore puntuale del 4% con valore minimo dell’intervallo del 3,7%; elaborazione pertanto affetta da forte errore nel dato puntuale e da sovrastima evidente anche per l’intervallo di riferimento.



In sostanza, il modello utilizzato, basato su un sensibile effetto delle variazioni dei prezzi del petrolio, è risultato essere eccessivo in relazione al crescere dell’inflazione, e quindi sembrerebbe che variazioni legate al comportamento della domanda influenzate dall’altezza dei tassi di interesse siano oggi più preponderanti, in altre parole uno degli effetti lunghi della politica monetaria, che agisce con ritardi quantificabili tra i sei e i nove mesi in maniera standard.



D’altra parte, però, va sottolineato che nel terzo trimestre dell’anno il Pil tendenziale a prezzi costanti è cresciuto del 4,9% (perlomeno in prima lettura), quindi ciò dovrebbe confermare che l’efficacia di tassi al 5,5 % medio dovrebbe aver agito in maniera sensibile sul Pil da ottobre in avanti; se così fosse, qui è da individuarsi la ragione principale dell’errore di sovrastima per l’inflazione tendenziale di ottobre; al tempo stesso, va sottolineato che proprio a ragione di un meccanismo statistico di conteggio, la luna di miele con i dati inflattivi tendenziali è terminata in ottobre e porterà a una situazione fino a marzo di non decrescita del fenomeno inflattivo dal 3,2%, sempre però al coeteris paribus di un prezzo Wti del barile di petrolio nell’intorno degli 80 dollari; in più chiare lettere, se si avrà in maniera standard il prezzo del barile fino a marzo in un intorno medio dei 65 dollari, l’inflazione a tassi di interesse invariati perverrà nell’intorno del 2,2% circa, mentre al contrario se il prezzo del barile si situerà fino a marzo in un intorno medio dei 100 dollari avremo il tasso tendenziale a marzo in area del 4,5-5%.



Le stime di dati appena esposti hanno una particolarità, non sono cioè nel controllo della Fed, quanto della Casa Bianca, e quindi torniamo al leitmotiv imperante, e cioè che azioni robuste sul tasso inflattivo vengono dalle dinamiche dei mercati energetici in maniera preponderante, mentre la Fed con l’azione sui tassi e sulla liquidità può dare un indirizzo più o meno accomodante a tali percorsi; in effetti, non va perso di vista un importante limite, che è quello dei tassi di interesse che non possono passare il 6% in quanto la ricaduta sugli interessi del debito pubblico e sugli attivi bancari non sarebbe più facilmente gestibile.

La riprova di tutto questo la osserviamo da un’analisi di tendenziali di lungo periodo e cioè con partenza dal 2008, anno della crisi Lehman Brothers, fino al 2023; bene, in questo periodo, si ha che a tassi inflattivi dell’1% medio annui e tassi di interesse negativi, si è avuta una crescita del Pil a prezzi costanti del 35%, cioè dai 17.500 miliardi del 2008 agli attuali 23.500 miliardi circa, mentre la base monetaria della Fed è aumentata fino a un massimo del 600% cioè da 1.500 miliardi circa a 9.000 miliardi circa, con il debito pubblico attualmente pari a 33.700 miliardi di dollari, cresciuto anch’esso di circa il 400%, fino ad arrivare al Dow Jones cresciuto anch’esso del 370 % circa; questo insieme di dati pertanto ci fa vedere che una bassa inflazione ha avuto comunque bisogno che la liquidità emessa dalla Fed per la maggior parte non venisse dirottata sui mercati reali, se non per residuali effetti ricchezza, e qui pertanto arriviamo al nodo gordiano e cioè che se i tassi restano troppo alti la liquidità parcheggiata a tenere gonfi i valori di Wall Street uscirà fuori e inonderà il mercato reale, e questo accadrà perché l’effetto ricchezza di stock posseduti in quantità enormi, sostituirà in certa misura il normale meccanismo di credito bancario.

Poi, va fatta un’ulteriore osservazione del tipo che se in ottobre in qualche modo si è iniziato ad assistere a una depressione della domanda di per se stessa anti-inflattiva, questo stesso meccanismo dovrebbe portare al massimo con due o tre mesi di ritardo a una riduzione dell’offerta per bilanciare la minor domanda; qui arriviamo a un’altra peculiarità dei nostri moderni sistemi industriali, l’essere cioè organizzati su enormi economie gamma e di dimensione, il che vuol dire un accrescimento più che proporzionale dei costi medi in presenza di riduzioni della produzione, e per tale via questi accrescimenti esponenti dei costi medi portano a una ricaduta inflattiva sui prezzi, la cosiddetta stagflazione, riduzione della domanda e innalzamento dell’inflazione.

Giova ricordare, in effetti, che solo due mesi fa all’incirca c’è stato l’inizio delle agitazioni culminate anche con scioperi nel settore automotive dove si è arrivati a chiedere da parte dei sindacati fino al 42% di incrementi salariali diffusi nell’arco di tre anni; tutto si può dire di tali proteste tranne che non siano potenzialmente fortemente impattanti sui prezzi.

Poi, l’utilizzo delle variazioni del tasso di disoccupazione che darebbe stima su prossima inflazione a venire o meno, per il mercato degli Usa mi ha sempre lasciato scettico, in quanto nel conteggio a settimane ci si trova un po di tutto, e si perde perciò la qualità del fenomeno e il suo reale impatto sull’inflazione, così come l’utilizzo di tanti dati settoriali dell’indice inflattivo come il cosiddetto core o il personal expenditure fanno parte a mio parere di un tempo che fu, un tempo cioè nel quale c’era l’assenza di reali e sensibili variazioni dei fattori esogeni sulla curva di offerta, tutto cioè era dominato dalla domanda e per tale verso aveva un senso distinguere tra spese core e spese comprensive di beni energetici e alimentari, in quanto lo scopo non era tanto isolare l’azione dei singoli movimenti settoriali di prezzo, quanto quella di capire il comportamento di singoli mercati per far modo di indirizzarvi un’offerta industriale e commerciale il più efficace possibile. A mio parere nel mondo di questi giorni queste parametrazioni hanno oramai valore scarso.

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