Da poco più di un anno in tutto il mondo si fa un gran parlare attorno all’influenza cosiddetta aviaria – scientificamente indicata con il nome ‘virus A(H5N1)‘ – che sembra attraversare un vero e proprio boom di contagi, raggiungendo diverse specie animali prima considerate al sicuro: l’ultimo allarme punta i riflettori sui gatti domestici, tra gli animali più diffusi in assoluto e a contatto strettissimo con i ‘loro’ esseri umani. A dare voce ai nuovi allarmi sull’influenza aviaria è un recente studio dell’Università del Meryland – firmato da Kristen K. Coleman e da Ian G. Bemis – pubblicato sulla rivista MedrXiv e non ancora sottoposto a revisione paritaria; secondo il quale il 2023 è stato un anno (per così dire) pandemico per i gatti domestici, con un incremento dei casi che non si era mai osservato in precedenza.
Facendo prima un passetto indietro, vale la pena ricordare che attualmente il virus H5N1 è stato individuato in una trentina di mammiferi (volpi, mustelidi, mucche da allevamento, ma anche orsi e pinnipedi) e – è importante sottolinearlo, in tutto il mondo – in poco meno di mille persone: la mortalità è stimata per l’essere umano attorno al 50%, mentre per i gatti domestici (e gli animali in generale) la percentuale sale drasticamente, aprendo le porte ad una vera e propria emergenza e soprattutto al temutissimo salto di specie che potrebbe portare l’influenza aviaria a circolare massivamente anche tra gli esseri umani.
Cosa sta succedendo, sintomi e rischi per l’uomo
Ora – tornando allo studio dell’Università del Meryland – non ci sono dati effettivi su quanti gatti domestici siano stati contagiati nel corso degli anni dall’influenza aviaria; ma secondo i ricercatori si nota chiaramente un’impennata di casi (segnalati) nel 2023 che non si rileva in egual misura nei felini selvatici o che vivono negli zoo. Il problema più grande è che secondo le stime dei ricercatori, un abbondante 67% di gatti che contraggono l’influenza aviaria non hanno alcuna possibilità di sopravvivenza, mentre – e qui dobbiamo riferirci ad un altro studio condotto nel 2023, ma questa volta a Varsavia – quelli che sopravvivano nella maggior parte dei casi rimanevano ciechi.
Ma a cosa è legata questa impennata dei casi? La risposta non è semplice e differisce leggermente se ci riferiamo allo studio americano, oppure a quello polacco: nel primo caso i ricercatori suppongono che sia legata all’attività predatoria dei gatti domestici, che entrano in contatto stretto con uccelli e roditori infetti dall’influenza aviaria, rimanendone contagiati a loro volta; mentre nel secondo – oltre a riportare questa stessa teoria – si ipotizza anche che potrebbe essere legato in qualche modo (ma non c’è alcuna conferma) all’alimentazione industriale. Riconoscere l’influenza aviaria nei gatti è piuttosto semplice perché oltre a degli evidenti sintomi respiratori e neurologici, secondo i ricercatori occorre stare attenti alle secrezioni da occhi e naso, alla perdita di coordinazione, e anche ai comportamenti apatici e alle prime avvisaglie di cecità.
Sorgerà – infine – spontanea l’ovvia domanda sui rischi per l’essere umano: i ricercatori ci tengono a precisare che per ora il rischio di contagio è veramente bassissimo e non sembra che ci siano segnalazioni in merito; ma di contro l’ampissima circolazione dell’influenza aviaria – non solo nei gatti domestici – potrebbe presto portare il virus ad adattarsi ed evolversi, con l’esito che abbiamo già visto con il coronavirus.