L’influenza aviaria è arrivata anche tra le foche antartiche. Si tratta di una forma molto contagiosa che può minacciare uno degli ecosistemi più fragili del pianeta, infatti c’è preoccupazione riguardo la capacità del virus di adattarsi e infettare più facilmente mammiferi ed esseri umani. Gli scienziati che lavorano per l’Animal Plant Health Agency (Apha), agenzia britannica per la salute animale e vegetale, hanno rilevato la variante del virus H5N1 in campioni prelevati da elefanti morti e foche nell’isola sub-antartica della Georgia del Sud. Già dozzine di animali sono morti, mentre molti altri potrebbero essere deceduti in baie remote e in mare aperto.



Gli esperti del British Antarctic Survey hanno parlato di tragedia in corso, aggiungendo che si tratta di un «evento di mortalità di massa». Secondo gli scienziati, l’influenza aviaria è stata introdotta molto probabilmente da uccelli che migravano dal Sud America. «Dato che l’Antartide è un hotspot di biodiversità così unico e speciale, è triste e preoccupante vedere la diffusione della malattia ai mammiferi della regione», ha dichiarato il professor Ian Brown, direttore dei servizi scientifici dell’Apha.



INFLUENZA AVIARIA, TIMORI PER POTENZIALE ZOONOTICO DI DIFFUSIONE ALL’UOMO

La diffusione ai mammiferi del ceppo virulento H5N1, individuato per la prima volta nel pollame e negli uccelli selvatici nella primavera del 2021, solleva il timore che il virus stia iniziando ad adattarsi ai mammiferi, aumentando il suo potenziale zoonotico di diffusione all’uomo. Peraltro, il campionamento degli uccelli marini suggerisce anche che alcune specie particolarmente colpite dall’H5N1 hanno sviluppato una certa immunità al virus. Ashley Banyard, esperto di influenza aviaria presso l’Apha, come riportato dal Financial Times, ha dichiarato che l’équipe non ha riscontrato alcuna prova di adattamento tra le foche della Georgia del Sud, indicando che il virus non è stato trasmesso da foca a foca, ma piuttosto da uccelli scovati da queste ultime o attraverso la loro esposizione a escrementi di uccelli.



D’altra parte, gli scienziati hanno trovato segni di adattamento nei mammiferi in altre parti del mondo. Questo è il caso delle foche del Cile e del New England negli Stati Uniti nel giugno 2022. Il Sud America è stato duramente colpito dal virus negli ultimi mesi, causando migliaia di morti tra i mammiferi marini in Perù, Brasile e Cile. «All’inizio di un’epidemia potrebbe non vedersi un adattamento nei mammiferi, ma se l’esposizione continua potrebbe verificarsi un adattamento», ha aggiunto Banyard.

INFLUENZA AVIARIA, OMS: “ALLARME AUMENTO DI CASI”

Nel luglio dello scorso anno, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) avvertì che «l’allarmante aumento dei casi di influenza aviaria nei mammiferi» rappresentava un maggiore rischio zoonotico, in quanto significava che il virus poteva adattarsi a infettare più facilmente gli esseri umani. Anche se l’incidenza dell’influenza aviaria nell’uomo è bassa, i tassi di mortalità sono elevati. I Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie hanno dichiarato che dal gennaio 2022 alla fine di dicembre 2023 sono stati registrati 19 casi umani in tutto il mondo, con 9 casi gravi che hanno causato 5 decessi. Quasi tutti i pazienti sono stati infettati tramite il contatto con pollame malato e non ci sono prove di diffusione del virus tra le persone.

Il virus fu individuato per la prima volta nella regione sub-antartica nell’ottobre dello scorso anno, in seguito alla morte di diversi skuas, uccelli marini predatori. Il Financial Times ricorda che, durante una spedizione di tre settimane, un’équipe virologica dell’Apha ha individuato il virus nelle foche elefante e nelle foche da pelliccia, oltre che in uccelli come gli skuas marroni, i gabbiani reali e le sterne antartiche. Ma negli ultimi tre mesi l’influenza aviaria ha causato meno infezioni tra gli uccelli selvatici e in cattività in tutto l’emisfero settentrionale rispetto agli autunni del 2021 e del 2022. Dal primo ottobre 2023 sono emersi solo cinque focolai nel Regno Unito, invece nei due anni precedenti si erano verificati più di 360 focolai.