L’influenza aviaria muta e preoccupa sempre più gli scienziati. La patologia, veicolata dagli uccelli, ha cambiato aspetto: come spiega Il Sole 24 Ore, non è più un virus stagionale che circola nei mesi invernali. Ora, infatti, si è slegata dalle migrazioni degli uccelli e colpisce tutto l’anno, mostrando una grande capacità di adattamento ai mammiferi. Varie le specie nelle quali è stata riscontrata l’influenza: cani, gatti, animali marini, orsi, visoni e così via. Sono stati infatti oltre 900 i casi di “spillover” registrati negli ultimi anni, in 23 diversi Paesi.
La responsabilità, secondo gli esperti, sarebbe del riscaldamento del clima, del peggioramento della situazione ambientale ma anche degli allevamenti intensivi, che fanno aumentare la probabilità che gli animali infetti contagino gli altri. Di recente la malattia è stata riscontrata anche in un umano: in Texas un allevatore è stato infettato da una mucca da latte, con uno doppio salto di specie. L’uomo non ha riportato sintomi gravi: solamente una congiuntivite. La situazione ha comunque allertato i virologi di tutto il mondo, che tengono ora sotto controllo la situazione nei vari allevamenti che hanno mostrato casi di influenza aviaria.
Influenza aviaria, l’esperta: “Nessun caso in Italia o in Europa”
Antonia Ricci, direttrice dell’Istituto zooprofilattico delle Venezia, ha spiegato al Sole 24 Ore: “Al momento non sono stati riportati casi nei bovini e nell’uomo in Italia o in Europa, ma quanto accaduto dimostra che dalla pandemia a oggi sono stati fatti significativi passi in avanti. La congiuntivite, sintomo di per sé lieve, è stata infatti associata a H5N1 perché negli allevamenti ora si attenua con maggiore attenzione la sorveglianza del personale, cioè si controllano tutti i possibili segnali di spillover”. Il tutto, ovviamente, per cogliere in tempo qualunque elemento.
I ricercatori stanno ora cercando di capire se i bovini siano stati infettati da volatili selvatici o meno. Secondo Ricci, i casi segnalati riguardano 28 allevamenti in dieci Stati. Non si può escludere, dunque, che il contagio arrivi da una fonte unica, come un tipo di mangime o qualcosa che sia passato da un allevamento a un altro. Per cercare di studiare i vari casi si utilizza come tecnica il sequenziamento “che oggi è più rapido, efficiente e condiviso rispetto a prima della pandemia e questo rende il lavoro di sorveglianza più efficace” come spiegato dall’esperta.