Cresce a quattro il numero di esseri umani contagiati negli Stati Uniti dall’influenza aviaria – che scientificamente è classificata con la sigla H5N1 -, ma seppur per ora non si siano ancora rilevati contagi da uomo a uomo l’Oms si è recentemente appellata ai governi mondiali chiedendo di intensificare la sorveglianza e la segnalazione dei casi sospetti: il rischio maggiore è che si sviluppi un qualche ceppo particolarmente contagioso per l’uomo, riaprendo a scenari simili a quelli che abbiamo visto solamente quattro anni fa a causa del covid. Tuttavia, è bene sottolineare che è la stessa Oms a mitigare gli allarmismi precisando – per mezzo del direttore dell’agenzia Tedros Adhanom Ghebreyesus – che per ora si “continua a valutare basso il rischio per la popolazione generale”.
“Tuttavia – continua Ghebreyesus citato da InsiderPaper – la nostra capacità di valutare e gestire [il rischio] è compromessa dalla limitata sorveglianza dei virus influenzali negli animali“, non solo negli Stati Uniti ma (e forse soprattutto) “a livello globale”. Solo con una sorveglianza attenta e tempestiva secondo l’Oms si possono “identificare eventuali cambiamenti” nella struttura dell’influenza aviaria, agendo prima che aumenti esponenzialmente “il rischio di epidemie o di potenziali pandemie“; ma oltre alla sorveglianza secondo Ghebreyesus è importante anche che si tutelino maggiormente i lavoratori agricoli che sono – notoriamente – tra i soggetti più a rischio di contrarre il virus influenzale.
Influenza aviaria: boom di contagi tra i bovini e il rischio di un salto della specie
Insomma, l’influenza aviaria fa sempre più paura ma – almeno per ora – secondo l’Oms la situazione rimane completamente sotto controllo e l’appello di oggi va inteso più nell’ottica di una sana prevenzione che ci avrebbe aiutati anche (nei già citati quattro anni fa) ad evitare la pandemia da coronavirus. Ma cosa sappiamo per ora del rischio epidemico? La risposta è – purtroppo – poco perché oltre a diverse segnalazioni a livello mondiale di esseri umani che hanno contratto l’influenza aviaria non è chiaro perché già dallo scorso anno stanno aumentando sempre di più i contagi.
Non solo: perché seppur prima questo virus era considerato maggiormente infettivo per i volatili di ogni tipo (e da qui il nome ‘aviaria’), da alcuni mesi a questa parte c’è stato un vero e proprio boom di contagi tra i bovini da allevamento tanto che negli USA Maria Van Kerkhove – la responsabile prevenzione epidemica dell’Oms – stima che siano circa 145 le mandrie di mucche da latte hanno contratto il virus. Proprio dal latte o nelle carni dei bovini infetti si nasconderebbe la ragione dei contagi da influenza aviaria che si registrano negli States e – non a caso – Kerkhove lancia un appello per “capire veramente l’entità della circolazione nei bovini da latte (..) a livello globale”.