Molto spesso – per non dire sempre – si tende ad ‘ignorare’ l’influenza intestinale, pensando che si tratti un comune virus che passerà da solo, o al massimo con la prescrizione di alcuni farmaci per tenere a bada i sintomi più pesanti; ma secondo uno studio italiano condotto al Policlinico Gemelli di Roma (e pochi giorni fa sulla prestigiosa rivista British Medical Journal) in realtà si tratta di un problema che andrebbe attenzionato con maggiore cura perché potrebbe causare strascichi anche a distanza di 5 anni dall’infezione originale. Prima di arrivare allo studio, vale la pena sottolineare che sono sempre di più i casi di influenza intestinale (o gastroenterite acuta, che dir si voglia) che sfociano in disturbi più gravi, tutti racchiusi dentro all’etichetta della sindrome dell’intestino irritabile – abbreviata con ‘IBS’ -, tanto che secondo delle stime della Società italiana gastroenterologia è circa il 20/40% della popolazione italiana a soffrirne.
Proprio partendo da questa evidenza – ovvero il boom di influenza intestinale e, soprattutto, di IBS – i ricercatori romani hanno cercato di individuare l’ipotetico responsabile, scoprendo che in realtà sono diversi i fattori che potrebbero far degenerare la gastroenterite: tra i principali ‘colpevoli’ non manca l’ormai onnipresente Covid; ma ci sono anche alcuni batteri comuni come Campylobacter o Enterobacteriaceae, senza dimenticare neppure problemi psicologici come forti episodi d’ansia o un eccessivo stress.
Lo studio sulla sindrome dell’intestino irritabile collegata all’influenza intestinale: Covid, batteri, ansia e stress
A darci un quadro dell’IBS causata dall’influenza intestinale è proprio uno dei ricercatori che hanno condotto lo studio, Giovanni Cammarota (anche docente di Gastroenterologia e direttore dell’UOC del Policlinico), che – citato da diversi media – spiega che si tratta di un “disturbo che coinvolge l’asse intestino-cervello” la cui insorgenza spesso si rileva con sintomi come “gonfiore, stipsi alternata a diarrea [e] dolori addominali“. Nella maggior parte dei pazienti la sindrome dell’intestino irritabile si risolve in pochi giorni o settimane senza grandi difficoltà, ma per molti altri si tratta di una malattia con un pesante impatto nella qualità della vita e per la prima volta lo studio di cui vi parliamo è riuscito a collegare (almeno indirettamente) l’IBS con l’influenza intestinale.
Grazie alla folta letteratura accademica – continua il professor Gianluca Ianiro – “abbiamo evidenziato che i sintomi di IBS compaiono in una persona su 7 dopo un episodio di infezione gastrointestinale”, con una durata media di “6-11 mesi in almeno la metà delle persone” e un massimo che arriva anche ad “oltre 5 anni” dall’influenza intestinale. Tra i tanti ‘responsabili’ coinvolti in questa insorgenza, la dottoressa Serena Porcari sottolinea che “l’ansia (..) triplica il rischio”, così come in un 21% di casi l’IBS è collegata al “Campylobacter”; il covid e il Proteobacteria – continua Porcari – aumentano “le probabilità [di] 5 volte” ed infine “l’Enterobacteriaceae [di] 4 volte”.