Col concetto di campagne informazionali (information operation, IO) si intende l’uso coordinato, malevolo o manipolativo dell’informazione e della relativa narrazione (disinformazione, fake news) per ottenere un vantaggio competitivo su un avversario e promuovere i propri fini, correlati all’interesse nazionale. A partire almeno dalla Seconda guerra mondiale le campagne IO sono assurte al rango di effettivo “sistema d’arma” non cinetica e come tale vengono impiegate dai principali Paesi.
Ad esempio, quelle russe hanno dato luogo a una sterminata letteratura basata sul reflexive control e sulla maskirovka, teorie che vengono accreditate al generale Valerij Gerasimov. Una nuova generazione di attività disinformative ha trovato terreno fertile nella rete e nei social network: tali campagne IO sono condivise attraverso molte comunità virtuali e possono così diffondersi in maniera esponenziale rafforzando, in tal modo, i bias cognitivi, i pregiudizi e la polarizzazione che ne consegue. Trattiamo quest’argomento, così strategico nell’ora presente, con Mario Caligiuri, Presidente della Società italiana di intelligence (SOCINT), nonché Direttore del Master in Intelligence dell’Università della Calabria.
Professor Caligiuri, la divulgazione della tematica dell’intelligence in Italia, all’interno del contesto universitario e dell’opinione pubblica in generale, le deve moltissimo. Tra le tante iniziative che ha promosso figura il primo Master del genere in Italia, nel 2007. Perché è così importante la divulgazione scientifica della cultura della sicurezza e dell’intelligence, a cui si è dedicato fin dal 1999, a partire dal corso di “Teoria e tecniche della comunicazione pubblica”?
Il problema della sicurezza è un problema endemico delle società contemporanee. La sicurezza è l’elemento fondamentale che giustifica l’esistenza stessa dello Stato. Quest’ultimo ha come primo compito, che le deriva dal contratto sociale, di garantire la vita dei propri cittadini. A questo riguardo, l’utilizzo delle informazioni per garantire la sicurezza dello Stato è fondamentale. Inoltre, credo che oggi l’intelligence sia una necessità sociale per tutti: serve allo Stato per garantire il benessere e la sicurezza dei propri cittadini, serve alle aziende per poter competere nella globalizzazione sempre più accentuata, serve ai singoli cittadini per difendersi dall’emergenza educativa e democratica di questo tempo rappresentata dalla disinformazione.
Quanto sono importanti allora la disinformazione, la propaganda di Stato e le campagne informazionali (information operation, IO) nella situazione attuale?
Come aveva ripetuto Marshall McLuhan, noi siamo come i pesci nell’acqua, nel senso che quello di cui i pesci non sanno assolutamente nulla è l’acqua. Analogamente, noi siamo totalmente immersi nella disinformazione tanto da non rendercene affatto conto. Siamo talmente immersi che veniamo distratti da falsi problemi come le fake news che sono l’elemento più banale, meno pericoloso e più facile da individuare, in quanto la disinformazione vera, quella che agisce nel profondo, è la comunicazione istituzionale che è la disinformazione di Stato. Essa è sostenuta attraverso i media di élite, dei grandi gruppi editoriali, delle televisioni, dei social networks che contribuiscono a rendere ancora più opaca la percezione del mondo.
A questo proposito òei ha parlato di “geopolitica della mente”. Ci può illustrare tale concetto?
Le tradizionali teorie geopolitiche sostenevano, di volta in volta, che chi controlla gli elementi fisici (mare, centro della terra, aria, spazio) controlla il mondo. Ad esempio, chi controlla l’aria controlla il mondo, una teoria sviluppata da un militare italiano Giulio Douhet nel 1921 con il trattato “Il dominio dell’aria”. Non dimentichiamo, infatti, che fu proprio il nostro Paese a utilizzare per primo gli aerei in un conflitto, durante il conflitto italo-turco del 1911 in Libia.
E oggi?
Oggi, con la creazione del continente invisibile del cyberspazio chi lo controlla, dovrebbe dominare il mondo, nonostante sia incontrollabile per definizione. Dalla fine di questo decennio tutto il pianeta potrà essere collegato a Internet. Pertanto, se siamo tutti collegati, di conseguenza siamo tutti controllati. Allora, attraverso gli algoritmi dell’intelligenza artificiale (IA) siamo quasi tutti profilati e quindi il campo di battaglia non è più la terra, il mare, l’aria, lo spazio ma diventa la mente delle persone.
Ci sono dei Paesi che hanno delle competenze e capacità superiori in questo campo considerato che da anni utilizzano le tecniche della disinformazione?
Innanzitutto gli Stati Uniti i quali detengono ancora il vantaggio differenziale di avere promosso internet nel 1969, ma le superpotenze, a iniziare dalla Cina, sviluppano in modo avanzato le tecnologie. Così come piccoli Stati territoriali, come Israele e Corea del Sud, sono delle potenze digitali di prim’ordine.
Ma qual è la situazione tra le due superpotenze, Usa e Cina?
Dal 2001, la Cina ha fatto dei passi avanti giganteschi. Sta investendo tantissimo nell’IA. Si è posta infatti l’obiettivo di diventare la prima potenza dell’IA al mondo. Credo che gli Stati Uniti abbiano comunque delle carte da giocare molto importanti. La prima è la potenza militare che è ancora preponderante. Poi c’è la supremazia monetaria basata sul dollaro. Poi c’è la supremazia culturale che si manifesta attraverso il mainstream, la produzione di contenuti attraverso i quali si vince la guerra mondiale dei media. Si pensi ai film, ai telefilm, ai contenuti che si trovano sui social. L’inglese è poi la lingua prevalente su internet. In tale quadro di dominio culturale va rilevata l’egemonia scientifica delle proprie università e dei premi Nobel: la maggioranza di questi ultimi è, molto spesso, statunitense. Tutte queste circostanze contribuiscono in modo evidente a plasmare l’opinione pubblica del pianeta, imponendo dei modelli culturali, che manifestano una visione del mondo.
E per quanto riguarda la Federazione russa? Quanto sono importanti le campagne informazionali, considerato che si sono accentuate durante l’ultimo conflitto russo-ucraino?
La Russia ha una lunga tradizione nella disinformazione che rimonta al tempo degli Zar quando l’Ochrana creò i falsi “Protocolli dei Savi di Sion”. In questo solco, l’Unione Sovietica divenne presto rinomata per la dezinformatsia che adesso continua con Putin. Del resto, la Russia disinforma allo stesso modo degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, della Cina. Si tratta di un metodo comune a tutte queste grandi potenze. I documenti resi noti da Julian Assange sono davanti agli occhi di tutti, ma ovviamente non vi si presta attenzione.
Quanto possono incidere le campagne informazionali in concomitanza delle competizioni elettorali, nel caso specifico di quella che si è appena svolta in Italia?
Dalla Seconda guerra mondiale in poi, le ingerenze delle potenze straniere nelle elezioni del nostro Paese sono costanti. Basti pensare alla CIA, da un lato, e al KGB, dall’altro, che finanziavano rispettivamente la Democrazia cristiana e il Partito comunista. Bisogna poi considerare i grandi giornali di opinione esteri, soprattutto quelli britannici, i quali si preoccupano costantemente di quello che avviene nel nostro Paese, come se lo facessero in maniera distaccata o caritatevole, come una congrega di Padre Pio. In realtà sono tutti interventi interessati. Certamente noi italiani ci mettiamo del nostro, offrendo abbondante materiale di analisi.
I partiti politici italiani fanno ricorso alle tecniche disinformative?
Non c’è alcun dubbio, poiché le tecniche della disinformazione vengono utilizzate sistematicamente anche in Italia da tutti i partiti e i casi non mancano. Ad esempio, tutto quello che viene raccontato sul Pnrr oppure i contenuti della recente campagna elettorale rappresentano dei casi di studio illuminanti. Riguardo a quest’ultima, non mi sembra siano stati affrontati in modo responsabile i problemi reali del Paese, come, tra gli altri, i fenomeni criminali, la diffusione della droga, l’emergenza educativa, il futuro del pagamento delle pensioni. Vi è una manipolazione costante e i partiti, da questo punto di vista, conoscono bene che si rivolgono a un elettorato che per quasi il trenta per cento è analfabeta funzionale e che per tre quarti non riesce a comprendere una semplice frase nella nostra lingua. Pertanto, ci si dovrebbe veramente interrogare sulla reale natura della democrazia nel nostro Paese.
Oggi, l’intelligence riguarda in maniera precipua anche i fenomeni economici. Per Lei che ha scritto i primi libri italiani in merito, quanto è importante e quanto è diffusa tale cultura presso le élites politiche ed economiche nazionali, se la si paragona al caso francese, per esempio al pensiero di Christian Harbulot?
Nei primi anni Novanta, mentre noi eravamo impegnati in Tangentopoli, in Francia venivano elaborate le teorie delle guerre economique. Il quadro che abbiamo davanti è piuttosto chiaro: basta considerare il numero e la qualità delle imprese italiane oggi in mano ai francesi. Questo nostro ritardo sull’intelligence economica, è un ritardo nella consapevolezza della tutela dell’interesse nazionale che dovrebbe essere il primo compito delle élites politiche. Se non vi è questa preoccupazione assillante è chiaro che si registrano interventi episodici e non strutturali, che investano la società italiana. Per realizzare questi interventi di intelligence economica, evidentemente, occorre tempo e non propaganda.
(Achille Pierre Paliotta)
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