Gli effetti drammatici che la pandemia ha creato e continua a determinare, su tutti i fronti, dall’economia al mondo del lavoro, pongono ogni giorno al centro il problema delle ferite profonde che questo Paese deve affrontare, in un quadro dove le istituzioni di governo e la politica non sono a pieno impegnati su tali obiettivi prioritari e urgenti. In questo scenario, i dati complessivi del 2020 forniti dall’Inail in merito alle denunce sugli infortuni e morti sul lavoro vanno a gravare pesantemente, perché della salute e della vita delle persone si parla, su di un quadro già devastante. 



Il settore della Sanità e dell’assistenza sociale è quello che ha pagato di più, registrando percentuali di incremento pari al 206% su base annua, nei riguardi dello scorso anno, dimostrando che anche a fronte di un’evidente maggior esposizione a rischio data dalla natura e dal contesto di svolgimento della mansione, le tutele, i dispositivi di protezione, le procedure di lavoro in sicurezza non sono stati adeguati e questo, anche a fronte di una pandemia, non può risultare una mera constatazione, ma deve prevedere specifiche responsabilità, anche penali, nei riguardi di chi ha permesso tutto questo; nei diversi ruoli, sia dentro le realtà lavorative che all’esterno, in qualità di organi di vigilanza e istituzioni. E, se a novembre scorso, dopo più di dieci mesi, le denunce sono arrivate a punte del +750% per gli infortuni sul lavoro, significa che le mancanze non sono state solo figlie dell’impreparazione iniziale, ma sono andate crescendo nel tempo, confermando le assenze e i ritardi nelle tutele verso il personale impegnato. 



Ma i dati, purtroppo, dicono anche altro. Perché l’incremento generale delle denunce nell’ultimo trimestre del 2020, a confronto dei primi nove mesi, a fronte di un sensibile, ma evidente calo dell’aggressività del virus, deve far riflettere e spingere a indagare su quante denunce, forse, per buona parte dell’anno non ci sono state da parte dei datori di lavoro, dei tanti casi di lavoratori risultati contagiati, sottraendo tutele, per garantirsi tutele. In questo senso, anche il dato apparentemente positivo dell’inflessione dei casi, nasconde però preoccupanti riflessioni di fondo: al calo delle complessive denunce di infortunio sul lavoro (in relazione ai dati del 2019), le denunce riconducibili al Covid rappresentano solo un quarto del totale, facendo emergere con evidente certezza che, ancora oggi, permane l’inaccettabile binomio che quando l’attività lavorativa viene svolta, al pari, accadono gli infortuni. Trend non degno di un Paese civile nel quale, in parallelo, si continuano a registrare sentenze di condotta antisindacale da parte dei datori di lavoro, soprattutto nel non aver non solo costituito il Comitato aziendale per la gestione delle procedure anti-Covid, come previsto dal Protocollo condiviso del 14 marzo 2020, ma nel non aver ritenuto necessario coinvolgere le rappresentanze sindacali. 



Se il silenzio assordante dei ministeri competenti, a fronte di tutto questo, solo da alcuni giorni è mera conseguenza dei fatti che stanno accadendo, per tutto l’arco dello scorso anno, non se ne evincono ragioni sufficienti.