Era il 21 settembre 1924, cento anni fa tra pochi mesi, quando l’allora Re d’Italia Vittorio Emanuele III a bordo della sua Lancia Trikappa inaugurava il primo tronco dell’autostrada Milano-Laghi. È considerata la prima autostrada certificata del mondo, cosa che la dice lunga della capacità innovativa e imprenditoriale del nostro Paese. La Milano-Laghi nasceva per rispondere alle esigenze di tutti: commercianti, famiglie, aziende. A New York esisteva già dal 1908 una sorta di autostrada, la Long Island Motor Parkway, ma era utilizzata solo per le gare automobilistiche e il traffico esclusivamente privato. La Milano-Laghi nasce per tutti.



Per la sua realizzazione furono impiegati circa 90 milioni di lire, l’equivalente di 83 milioni di euro di oggi. Un anno prima dell’inaugurazione circolavano in Italia circa 84mila autoveicoli: oggi se ne contano più di 50 milioni. Era stato stimato un transito giornaliero di mille veicoli a quattro ruote, nel 1938 la cifra era più che raddoppiata. Era iniziata in Italia una rivoluzione del trasporto e della mobilità.



Il trasporto su strada è essenziale per la vita del Paese, lo si vede anche dalle difficoltà che si creano nelle zone in cui i collegamenti sono insufficienti. Il trasporto su gomma di passeggeri tocca oggi l’89% dei trasporti generali, lasciando quello su rotaia indietro al 7% e quello aereo al 3%. Il trasporto merci su gomma raggiunge invece l’84%, mentre quello ferroviario il 4%. A usufruire del trasporto su gomma sono soprattutto le famiglie: 79,3 famiglie su cento posseggono almeno una automobile (fonte: elaborazione dati su Cnt (Centro nazionale trasporti), Cluster Trasporti, Aspi).



Il nostro Paese è quarto in Europa per estensione chilometrica delle autostrade (7.000 km) dopo Spagna (11.000 km), Germania (10.400 km) e Francia (9.200 km); primo per chilometri di ponti (pari al 14% su estensione km rispetto a una media europea del 2,6) e numero di tunnel (il 50% rispetto al totale dei Paesi europei esaminati). Siamo altresì primi anche per traffico autostradale rispetto alla media degli altri Paesi Ue (40k Veicoli Teorici Medi Giornalieri Annui vs 30k di Francia e 20k di Spagna e merci (10k in Italia vs 5k di Francia e 1k di Germania).

Sebbene da tempo alcune associazioni e movimenti ambientalisti tentino, con ragione, di spostare una parte del trasporto su rotaia, la gomma rimarrà sempre prioritaria, considerando le caratteristiche orografiche del nostro Paese, la maggiore capillarità che la rete stradale offre, oltre che ai viaggi personalizzabili e flessibili rispetto a treni, aerei e navi.

Va detto che negli ultimi tempi sta prendendo piede il concetto di “trasporto intermodale”, cioè il trasporto che utilizza il classico container o rimorchio spostandolo da un mezzo di trasporto all’altro, dalla gomma alla rotaia. Grazie alla ferrovia il tempo di transito è assicurato, perché è possibile evitare divieti di circolazione o intasamento da traffico eccessivo, mentre con la strada si ottiene la precisione e la flessibilità di coprire il primo e l’ultimo miglio. Inoltre, grazie all’uso dei treni, il servizio intermodale è più ecologico con basse emissioni di CO2 rispetto all’autotrasporto. Si sta investendo molto, in particolare in Europa, su questa modalità di trasporto per ridurre l’inquinamento causato dai servizi di trasporto e di consegna.

Rimangono in tutti i casi diverse problematiche legate al trasporto su gomma. Siamo al primo posto per vecchiaia delle nostre infrastrutture: l’85% della rete è stata costruita entro gli anni 70, mentre nelle altre nazioni sono state costruite non prima degli anni 90-2000. Inoltre, nonostante la rete sia piuttosto estesa, ci sono ancora aree densamente popolate, ricche di zone industriali o di interesse turistico, che sono prive di strade. È di particolare criticità la situazione in regioni come Calabria e Basilicata, nelle quali la rete attuale risulta insufficiente.

Si capisce quindi che c’è un problema italiano: possiamo prescindere meno degli altri dalla rete stradale e autostradale, ma perché il sistema rimanga funzionale occorrono forti investimenti in termini di manutenzione rigenerativa per aumentarne la vita tecnica, di potenziamento e la resilienza. Per aumentare la sostenibilità dell’infrastruttura e ridurre le congestioni, vanno introdotti nuovi vettori energetici e realizzati investimenti in digitalizzazione.

Ammodernare la rete è quindi una scelta obbligata per diverse ragioni. Sotto il profilo economico, a fronte dei 7.000 chilometri di rete autostradale esistente servirebbero 2.000 miliardi di euro per costruire ex novo una rete autostradale o una rete alternativa, mentre ne basta il 2-3%  per migliorare la rete esistente. Inoltre, si stima che per ogni euro investito, altri due possano essere prodotti con un effetto complessivo di almeno tre volte il valore del piano di investimento.

Sotto il profilo della sicurezza, Vision Zero, il piano sulla sicurezza stradale dell’Ue legato agli ammodernamenti, prevede di ridurre del 50% rispetto al 2020 gli incidenti stradali mortali entro il 2030 e punta ad annullarli entro il 2050 grazie alle tecnologie di controllo e di assistenza alla guida e di guida autonoma.

Il programma Fit for 55, anch’esso legato agli investimenti sulla rete, prevede obiettivi impegnativi di riduzione delle emissioni climalteranti del 43% rispetto al 2006 per il 2030, e la neutralità carbonica per il 2050.

Per attuare tutto questo diviene indispensabile la sussidiarietà intesa come stretta collaborazione tra soggetti coinvolti: istituzioni, imprese, centri di ricerca e altre organizzazioni. Solo questa interazione virtuosa può attuare nuove procedure che favoriscano la tempestività del rinnovamento delle infrastrutture; individuare nuovi modelli di finanziamento che superino il trade-off tra aumento degli investimenti e incremento delle tariffe; accelerare la formazione di risorse qualificate per promuovere la sostenibilità sociale e ambientale.

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