In una intervista del 1971 il regista svedese Ingmar Bergman parlava del miglior primo piano che avesse mai realizzato. Era accaduto in circostanze del tutto inaspettate durante le riprese del leggendario film Il posto delle fragole. Bergman aveva corteggiato a lungo l’attore, Victor Sjöström, per il ruolo principale dell’anziano professore. Di fatto aveva scritto il copione cinematografico avendo proprio lui in mente. Ma l’attore, che ormai aveva 78 anni, si sentiva troppo anziano, non aveva più la forza per accettare tale proposta. Aveva comunque voluto leggere il copione: un anziano professore, durante un viaggio da Stoccolma a Lund per ritirare un premio alla sua lunga carriera, si ritrova in maniera inaspettata a riesaminare la sua vita marcata dal successo professionale ma anche da tanta rigidità e indifferenza.
Alle varie richieste di Bergman l’attore rispondeva con un “Ci penserò” ma non diceva mai di no. Bergman non aveva ceduto e alla fine Sjöström aveva accettato però ad una condizione: ogni giorno alle cinque di sera lui doveva essere di ritorno a casa sua per potere bere in tranquillità il suo whisky. Così erano iniziate le riprese e tutto era proceduto come d’accordo fino alla scena finale che richiedeva l’ultima luce del giorno, a rappresentare la vita stessa che se ne va. Si poteva filmare questa luce solo dopo le cinque di sera. Bergman aveva chiesto all’attore di fare una eccezione ai loro patti, in fondo il whisky poteva anche prenderlo lì sul set del film ma questo aveva profondamente infastidito Sjöström. Alla fine, una volta ancora, Bergman aveva vinto, solo che entrambi, regista e attore, sul set erano tesi, arrabbiati l’uno contro l’altro.
Certamente questa tensione non aiutava, soprattutto perché la scena doveva rappresentare in quel luogo idilliaco il rappacificarsi del professore con la vita. La tensione tra regista ed attore era l’antitesi di tutto ciò, non vi era via di uscita. “Cosa vuoi che faccia?” aveva domandato l’attore e il regista aveva risposto “Stai guardando i tuoi genitori”, riferendosi al copione. Bergman aveva pensato: è una catastrofe, ma anche così aveva dato l’ordine, “Si gira…”. La luce era stata perfetta e in maniera assolutamente inaspettata nell’attore stesso qualcosa era avvenuto, perché di colpo la sua espressione tesa si era sbloccata.
L’intervistatore aveva domandato a Bergman se la lezione da trarre era che per ottenere la migliore performance da un attore sia necessario farlo arrabbiare. Ma Bergman aveva risposto che se alla scena fossero giunti tranquilli, entrambi d’accordo, forse non sarebbe sorto dal profondo questo sentimento. “Quel volto improvvisamente irradiava una tale tenerezza, la tristezza di un anziano per la vita che se ne va”.
Questo cambiamento inaspettato mi ricorda quanto affermato da don Paolo Alliata: “Senza un atto di fiducia la vita non può fiorire”. Fra attore e regista vi era profondo rispetto, ma anche in quel momento profonda stizza. L’implicito atto di fiducia aveva permesso all’anziano attore di andare al di là dei patti e a Bergman di dare l’ordine al cameraman di girare anche quando pensava: “Questa è una catastrofe”.
L’Unione Europea si trova in un simile impasse ma non è chiaro se esista quel reciproco rispetto, quella credibilità fondamentale affinché vi sia un atto di fiducia. Si direbbe piuttosto che vi sia una sfiducia reciproca dettata da modi diversi di intendere le cose. I paesi del Nord rimproverano ai paesi del Sud di non rispettare il Trattato di Maastricht a causa di debiti pubblici troppo alti e i paesi del Sud rimproverano a quelli del Nord un’eccessiva rigidità con i loro piani di austerity. L’Italia stessa al suo interno si ritrova frazionata con una sfiducia generalizzata della popolazione verso una classe politica con scarsa credibilità. Si riusciranno a trovare degli accordi reali o saranno ancora una volta accordi d’inerzia?
In quanto a Il posto delle fragole, Victor Sjöström moriva tre mesi più tardi e come ricorda Bergman forse senza nemmeno avere visto il film. Forse non vi era bisogno, perché lui aveva vissuto nel più profondo il rappacificamento che si rifletteva poi nella sua espressione. Come il regista stesso aveva ammesso: questo era diventato il suo film.