La barriera potrebbe venire da una resistenza culturale. Ma se questa verrà superata, le possibilità di crescita sono davvero importanti: il mercato della carne “coltivata” potrebbe raggiungere i 25 miliardi di dollari entro il 2030. La previsione è contenuta nel recente report di McKinsey dal titolo “Cultivated meat: Out of the lab, into the frying pan”, che analizza gli scenari futuri di un’industria in rapida crescita, quella che produce tagli di carne che non sono mai stati parte di un animale vivo, ma creati in vitro in laboratorio.
Secondo lo studio, entro il 2030 questa carne “sintetica’” potrebbe fornire fino allo 0,5% dell’offerta mondiale, forte di più frecce al suo arco: ha, infatti, il potenziale non solo per eguagliare, ma perfino per superare il gusto e la consistenza del corrispettivo convenzionale. E non solo. È in grado anche di introdurre nuovi prodotti. Per esempio – fa notare lo studio – potrebbe replicare carni pregiate, come quella di Wagyu o di salmone selvatico, a un costo molto inferiore rispetto a quello praticato per gli “originali”.
A favore della carne coltivata giocano poi anche altri fattori. Le aziende che hanno intrapreso questa produzione – rileva sempre il report -, sono state in grado di ridurre i costi del 99% rispetto a quelli necessari durante lo sviluppo dei primi prototipi. Un dato molto promettente, tanto che questa industry, cui al momento fanno capo meno di 100 start-up, nel 2020 ha attirato investimenti per circa 350 milioni di dollari e in questa prima parte del 2021 per circa 250 milioni di dollari. A credere nel progetto, alcuni dei più grandi player del settore delle proteine animali – si pensi a Tyson e Nutreco – e grandi investitori, tra i quali Temasek e SoftBank.
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