La scienza viene in aiuto dell’industria alimentare. E contribuisce a rafforzare la spinta verso la sostenibilità. L’Università degli Studi di Bari Aldo Moro, insieme a Food Safety Lab, ha messo a punto un innovativo processo che consente di prevenire il deterioramento della pasta fresca, modificando i protocolli di confezionamento e aggiungendo probiotici antimicrobici all’impasto. Con un duplice risultato: da un lato, prolunga di 30 giorni la vita sullo scaffale (shelf-life) del prodotto, dall’altro, così facendo, contribuisce a ridurre gli sprechi alimentari.
Il punto di partenza della ricerca è noto: la pasta fresca contiene acqua e questo la rende deperibile e vulnerabile all’attacco microbico, una delle più frequenti cause di alterazione del prodotto. Al momento – spiegano i ricercatori – la maggior parte della pasta fresca distribuita commercialmente viene prodotta attraverso un processo industriale che include anche un trattamento termico, o ad effetto equivalente. Il packaging spesso utilizzato, si avvale poi di film plastici con effetto barriera, capaci di aiutare a mantenere un’atmosfera protettiva, normalmente costituita da azoto e anidride carbonica, intorno alla pasta.
Alla lista dei presidi che aiutano a garantire un prodotto sicuro e dalla prolungata conservabilità si deve infine aggiungere anche l’impiego di antimicrobici che consente di prevenire le alterazioni microbiche e la possibile presenza di patogeni nel prodotto finito.
E proprio qui si inserisce la scoperta dell’Università di Bari, i cui ricercatori hanno sviluppato in collaborazione con un pastificio pugliese un metodo di conservazione della pasta fresca “clean-label”, che si basa cioè su ingredienti naturali. Le innovazioni – spiega l’Ateneo – sono state introdotte dopo aver valutato il processo utilizzato dall’azienda e questo ha consentito di intervenire nella sua ottimizzazione, attraverso la modifica del confezionamento in atmosfera modificata (MAP), sia sul fronte dei film plastici e della proporzione dei gas usati, sia in relazione all’impiego di una miscela di microrganismi probiotici bioprotettivi commerciali, massimizzando così l’efficacia delle innovazioni.
Per testare i nuovi protocolli sono state scelte le “trofie”: una parte di campione di pasta fresca è stata prodotta e confezionata convenzionalmente, mentre un secondo set è stato prodotto tradizionalmente, ma conservato nella condizione sperimentale di MAP. A un terzo set di trofie fresche, infine, è stata addizionata una miscela di microrganismi probiotici, ed è poi stato conservato nella confezione sperimentale. I ricercatori hanno quindi esaminato la pasta fresca fino alla data di scadenza e oltre per monitorare la comparsa del deterioramento. E i risultati parlano chiaro: i protocolli sperimentali testati consentono il prolungamento di 30 giorni della durata della conservabilità della pasta fresca.
“Questo lavoro dimostra come le innovazioni in campo bio-molecolare possano essere estese non solo alla medicina di precisione, ma anche ad applicazioni industriali che impattano sulla vita di ogni giorno”, affermano Bruno Fosso e Maria Calasso dell’Università degli Studi di Bari.
I vantaggi della scoperta sono facilmente intuibili. L’estensione della conservabilità promette di essere un fattore rilevante “considerando che i consumatori tendono sempre più a ridurre la frequenza dei loro acquisti di cibo”, osserva Francesca De Leo, ricercatrice del Cnr-Ibiom. Ma non è tutto. Il valore di questa ricerca è strategico anche se si pensa alla riduzione gli sprechi alimentari. Una piaga per il pianeta se si considera che, secondo il Programma alimentare mondiale, circa un terzo di tutti gli alimenti prodotti ogni anno viene sperperato o perso prima di poter essere consumato.
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