Sappiamo che il Presidente degli Stati Uniti Biden, che oggi si insedierà ufficialmente, sta considerando, insieme al ministro del Tesoro Yellen, un piano di spesa pubblica per un ammontare approssimativo di 1.900 miliardi di dollari. Per avere un’idea dell’enormità del progetto di spesa, si ricordi che nel febbraio 2009, per contrastare la recessione incalzante conseguente alla Grande Crisi finanziaria del 2007, il neoeletto Presidente Obama sottopose al Congresso per approvazione da parte del Congresso un piano di spesa in disavanzo per circa 787 milioni di dollari. La scelta di Biden e della sua ministra non è dunque affatto irragionevole, se si tiene conto che la recessione da Covid-19 è stata unanimemente valutata molto più grave e meno prevedibile della Grande Recessione.



Il primo quesito che viene in mente è: qual è la probabilità che un piano di spesa tanto grande e ambizioso passi in Congresso? Secondo me, essa è molto alta, considerata l’unitarietà di visione del gruppo al governo: Biden alla Presidenza, Yellen al Tesoro, Sanders alla Commissione bilancio del Senato: già questi nomi preannunciano politiche fiscali espansive, cioè di spesa, la cui valenza non sarà soltanto macroeconomica (cioè i suoi effetti sul livello aggregato dell’economia nel suo complesso – il Pil, per brevità). Il piano ha infatti anche una forte attenzione verso i gruppi sociali e produttivi che più hanno sofferto, stanno soffrendo e soffriranno a causa della crisi, quali i lavoratori dei servizi e, in particolare, quelli appartenenti alle minoranze non-bianche della popolazione.



I capitoli di spesa sembrano indicare l’esistenza di una “sensibilità sociale” che va al di là dello spendere per far riprendere l’economia: 20 miliardi per la realizzazione di una rete nazionale di distribuzione dei vaccini; 50 miliardi per accelerare il processo di inoculazione; 350 miliardi in aiuti agli Stati e agli enti locali; 20 miliardi per i trasporti pubblici urbani; 170 miliardi per mettere le scuole in condizioni di riaprire. Certo, sono numeri che in Congresso verranno discussi e modificati, ma la maggioranza del Partito Democratico in entrambe le camere sembra promettere bene. Oggetto di particolare discussione e attenzione sarà la proposta di un assegno governativo di 1.400 dollari per tutti, un’idea che anche da parte democratica viene ritenuta non necessariamente ottima, perché non discrimina tra i beneficiari in base alle necessità accertate.



Il secondo quesito rilevante in questo contesto è se l’intervento non sia sovradimensionato rispetto alla quota di capacità produttiva inutilizzata attualmente presente nel sistema. In breve, lo stimolo potrebbe spingere la domanda aggregata per beni e servizi troppo al disopra della capacità produttiva disponibile e questo, si sostiene, potrebbe dare origine ad aumenti generalizzati dei prezzi. A questa preoccupazione Lawrence Summers, professore di economia e già ministro del Tesoro Usa, risponde che si tratta di una preoccupazione legittima, ma che ciò che oggi e nel futuro prevedibile è richiesto è un controllo sistematico del modo in cui l’economia evolverà, per poter intervenire in senso restrittivo nel caso ciò effettivamente avvenga. Ma oggi, e Janet Yellen è d’accordo, bisogna pensare “in grande”, e spendere in grande. Oggi, e chi scrive condivide questa analisi, il problema non è l’inflazione, ma la disoccupazione e, insieme a essa, una distribuzione dei redditi e della ricchezza eccessivamente sbilanciata tra i gruppi sociali e produttivi.

Il terzo quesito che dovrebbe perseguitarci è questo: come mai, ancora una volta, sono gli Stati uniti a indicarci la strada per uscire dalla crisi? Era già successo con la Grande Recessione, sopra citata, quando il Governo federale Usa cominciò a spendere in disavanzo già dall’inizio del 2009 continuando poi per almeno un triennio, mentre in Europa prevaleva l’ideologia aberrante dell’austerità. Chi non la ricorda? Chi non ricorda le vergini vestali del bilancio in pareggio che chiedevano in ogni sede che i Governi europei, e quello italiano in particolare, risparmiassero, perché altrimenti poi il debito pubblico sarebbe cresciuto? Chi non ricorda la follia economica di chiedere che il Governo risparmiasse quando il problema era, ed è, che già il settore privato spendeva poco e il settore pubblico avrebbe dovuto, e deve, aumentare la propria spesa per controbilanciare l’eccesso di risparmi delle famiglie e delle imprese?

Certo, oggi anche in Europa respiriamo un’aria diversa già da marzo scorso, quando la Presidente della Commissione europea annunciò la sospensione della regola del vincolo di bilancio per dar modo ai governi dei Paesi membri di cominciare a spendere subito a supporto delle famiglie e delle attività produttive: e abbiamo visto in tutti i Paesi interventi che nel post-2008 non vedemmo. Oggi abbiamo il progetto Next Generation Eu. Che cosa ne verrà, lo vedremo, ma i tempi sembrano lunghi, occorre far di tutto per attivare circoli virtuosi di spesa pubblica che facciamo ripartire anche le attività economiche più colpite dalla pandemia. Ma, come sostengo da marzo scorso, senza spendere bene e in fretta per mettere sotto controllo la pandemia non può esserci ripresa economica forte, duratura, per tutti.