Il declinare della cultura del lavoro nella scuola
Il cammino riformatore della scuola italiana, segnatamente di quella del primo ciclo, ha visto in questi ultimi anni un progressivo ma apparentemente inarrestabile declino della presenza in essa della cultura del lavoro e del fare secondo ragione.
Tuttora ritenuto, nel comune sentire, destinato a produrre utilità ma inidoneo a generare conoscenza, il lavoro ha subìto nella didattica scolastica un declino costante che dura ormai da vari decenni. Dapprima il disinteresse verso le pur frequenti circolari ministeriali sulla pratica dell’operatività a scuola, quindi la riduzione dell’orario per l’unica materia espressamente destinata ad essa (l’Educazione Tecnica) e infine – per ora – la trasformazione di questa nella astratta e “culturale” Tecnologia, sono passi di una involuzione preoccupante della cultura del lavoro nella scuola. Scenario ipotizzabile e conclusivo di questo regresso è il possibile e definitivo assorbimento della tecnologia nell’area della matematica-scienze-informatica.
L’associazione di insegnanti DIESSE guarda con preoccupazione questa tendenza e propone che nell’attuale momento di forte elaborazione di nuovi assetti della scuola italiana, si riconosca la funzione conoscitiva ed educativa dell’operatività, e vengano aperte importanti occasioni di incontro e familiarizzazione col mondo del lavoro, inteso sia come strumento che come contenuto dell’insegnamento.
Il Progetto “Lavorare per conoscere, conoscere per lavorare”
Conferma e sostegno a questa richiesta sta emergendo dallo svolgimento del progetto“Lavorare per conoscere, conoscere per lavorare” rivolto alle scuole secondarie della Lombardia, finanziato dalla Regione e condotto dall’ associazione Diesse Lombardia.
Presentato in molte delle principali città lombarde, consiste nella proposta di mettere a tema la presenza e la pratica del lavoro a scuola, mediante attività di studio e di laboratorio. Introdotto da incontri con eminenti personalità del mondo produttivo, supportato da pubblicazioni ed audiovisivi espressamente realizzati, accompagnato dalla consulenza dei nostri progettisti, ha mostrato che, sepolta sotto decenni di trascuratezza da parte dell’istituzione, negli insegnanti permane la consapevolezza del valore e della funzione della cultura del fare. Insomma i partecipanti hanno reagito non come di fronte all’ennesima proposta di aggiornamento/revisione/manutenzione del proprio curricolo, ma come davanti ad una verità evidente, seppur da riscoprire.
All’origine del progetto la coscienza che l’uomo che lavora non corrisponde solo a un bisogno economico ma, misurandosi creativamente con la realtà su cui opera, svolge una insostituibile attività conoscitiva, di cui la scuola non può disinteressarsi.
In particolare la familiarità che il lavoro genera con tutti gli elementi del contesto in cui si svolge (materiali, strumenti, procedimenti, ambiente…), le capacità di organizzare e organizzarsi sollecitate dalle attività operative, la disposizione d’animo a collaborare e quindi la conclusività, l’intraprendenza, il realismo intrinseci nel lavorare creativo e ragionato, sono apparse come dimensioni interessanti ed importanti del percorso scolastico di formazione ed istruzione.
Un punto di particolare attenzione: la Secondaria di Primo Grado
Così fondato, il progetto ha proposto alle scuole secondarie lombarde un approfondimento del lavoro come contenuto e metodo scolastico, nonché la realizzazione di un’opera importante – un capolavoro – in coerenza con l’assunto fondamentale dell’iniziativa. Il progetto è tuttora in fase di svolgimento, ma, oltre alla fondatezza dell’assunto iniziale, i riscontri ottenuti mostrano come la scuola secondaria di I grado costituisca uno snodo da tenere in attenta considerazione.
E’ essa infatti scuola unica, necessaria e obbligatoria per tutti e, per definizione, orientativa. Durante la permanenza in essa il ragazzo compie la prima scelta impegnativa per la sua vita: il futuro indirizzo scolastico. Mantenere in questo ordine di scuola la cultura del lavoro appare necessario anche solo per favorire la consapevolezza di questa scelta.
Ma del lavoro, come è emerso dallo svolgimento del Progetto, non basta parlare, occorre praticarlo, occorre impegnare i preadolescenti con le sue categorie e la sua forma essenziale: il fare.
Sulle modalità in cui questo possa avvenire si può discutere. A noi però appare importante che resti uno spazio orario espressamente dedicato all’operatività creativa, non disperso in un area (quella matematico scientifica) troppo ampia e indifferenziata oppure, in subordine, che una fetta definita di quest’area venga destinata a tale scopo.
In questa logica esprimiamo anche riserve sull’uso di questo spazio per la alfabetizzazione informatica, in quanto l’uso del computer non può surrogare la concretezza e l’evidenza diretta del fare manuale e ragionato.
Riteniamo infine che il Ministero dovrebbe fornire una direttiva impegnativa in questo senso, dato che anche le Indicazioni Nazionali per l’insegnamento della Tecnologia si prestano ad interpretazioni che ne possono fare, attualmente, una disciplina eminentemente teorica.