In netta prevalenza sono donne: maggioranza schiacciante nel primo ciclo (99,4% nella scuola dell’infanzia e 95,9 nella primaria), maggioranza assoluta nella secondaria (77,5% alle medie e 61,7 alle superiori); l’età media è 41 anni, i più giovani sono al Nord; il 60% è laureato e circa la metà ha almeno dieci anni di precariato alle spalle. È questa la carta d’identità dei circa 50mila docenti immessi in ruolo nell’a.s. 2007/08 così come emerge dalla ricerca condotta, tra maggio e giugno di quest’anno, dalla Fondazione Giovanni Agnelli di Torino su tre regioni: Piemonte, Emilia-Romagna e Puglia (la versione integrale della ricerca sarà disponibile da gennaio 2009). Il campione di 10.872 intervistati è certamente significativo, soprattutto se si considera che a rispondere è stato ben oltre l’80% dei neoimmessi in ruolo nelle tre regioni (3.782 in Piemonte, 3.297 in Emilia-Romagna, 3.792 in Puglia).

Gente motivata – il 79,1% afferma di aver intrapreso la professione “per passione verso l’insegnamento” –, che il lungo e faticoso periodo di precariato non ha fiaccato nella volontà e nelle aspirazioni, tanto che alla domanda «se potesse tornare indietro, intraprenderebbe ancora la strada dell’insegnamento?» addirittura il 90,2% degli intervistati ha riposto affermativamente.

Gente attenta anche al giudizio degli altri (es., indagini OCSE-Pisa): il 65,1% è disposto a confrontarsi «con le competenze ritenute essenziali a livello internazionale e con gli standard raggiunti dagli studenti di altri paesi». Disponibile anche a lasciarsi valutare dall’esterno, se il 55% è favorevole alla valutazione complessiva di istituto e il 30% (soprattutto i più giovani) non teme di sottoporsi personalmente a valutazione.

A sorpresa vengono poi tre dati piuttosto interessanti, segno inequivocabile di un deciso cambio di mentalità e orientamento.

Alla domanda se, relativamente al reclutamento dei docenti, debba «essere riconosciuta maggiore autonomia di quella attuale per quanto riguarda la possibilità di assumere direttamente una parte degli insegnanti» (la cosiddetta “chiamata diretta” da parte delle scuole) il dato complessivo mostra che ad essere “d’accordo o molto d’accordo” è circa il 44% dei neoassunti. Disaggregando i dati si nota poi una marcata differenza tra Nord e Sud, con la Puglia che esprime un 62,7% di contrarietà alla chiamata diretta, giustificata dagli intervistati con il timore che «situazioni clientelari e di corruzione» potrebbero influenzare il nuovo sistema di reclutamento. Pur riconoscendo ad esso l’utilità di consentire la formazione di un team docente più adeguato alle esigenze specifiche della scuola, la diffidenza nei confronti della dirigenza locale porta a preferire ancora le graduatorie, seppur come male minore.

I risultati più impressionanti, però, si hanno sul lato della carriera: solo il 29,6% degli intervistati (i più avanti negli anni) accetta che la progressione retributiva sia legata al meccanismo automatico e impersonale dell’anzianità, mentre il 67,8% sostiene che bisognerebbe differenziare i percorsi di carriera – e quindi gli stipendi – in funzione del diverso impegno nell’insegnamento (meriti e competenze) e il 62,9% legherebbe la progressione di carriera all’assunzione di maggiori responsabilità organizzative e di coordinamento.

Le indagini internazionali mostrano una scuola italiana in grave difficoltà: la qualità degli apprendimenti è molto bassa e continua a scendere. Complice anche un progressivo scadimento della qualità dell’insegnamento, le cui cause sono da ricercare sia nell’eccessiva burocratizzazione della funzione che nella carenza di formazione aggiornata; nello stesso tempo, un ruolo non secondario lo gioca l’assenza di concrete prospettive di carriera diverse dall’anzianità. E forse non è a caso che questo emerga così chiaramente dalla ricerca condotta sui nuovi docenti.

Il rapido ricambio generazionale che si appresta (entro i prossimi 5-6 anni andrà in pensione il 35-40% degli attuali docenti di ruolo) potrebbe costituire un elemento importante nella direzione di un significativo cambiamento di tendenza.