Il decreto legge  n.137 del 1 settembre 2008 sta infiammando la  discussione nazionale, tra le altre cose, anche sul sistema della valutazione del rendimento scolastico degli studenti. L’articolo 3 rintroduce nella scuola primaria e secondaria di primo grado la valutazione periodica ed annuale degli apprendimenti degli alunni espressa in decimi, a partire da questo anno scolastico 2008/2009.

In questo modo, dopo 31 anni ( i voti nella scuola dell’obbligo erano stati aboliti nel 1977 con la legge 517 ) viene ripristinato nella scuola del primo ciclo quello che da tempo avviene nella scuola superiore.

La cosa di per sé non è poi così scandalosa come alcuni vorrebbero far credere. Valutare vuol dire attribuire valore e misurare, secondo criteri prestabiliti, i risultati ottenuti in prove ( o verifiche) adeguatamente predisposte. Si tratta di operazioni, dato il contesto, a carattere educativo, da svolgere in vista della crescita degli alunni e dello sviluppo di conoscenze ed abilità richieste nell’ordine della scuola frequentata. Le modalità con cui vengono comunicati e registrati i voti sui risultati attesi delle verifiche e della valutazione storicamente sono molteplici. Nella scuola italiana negli ultimi quaranta anni si è passati dal voto numerico (1-10) a quello letterale ( A-B-C-D) a quello aggettivale ( non sufficiente, sufficiente, buono, distinto, ottimo).

Il  decreto legge n.137 , proposto dal Ministro Gelmini, ripropone i voti espressi in decimi. Nulla di male, a nostro parere, se i termini della questione fossero puntuali e chiari nel merito e nel metodo.

Chi è nella scuola dei più piccoli  da anni, infatti, sa che molto spesso bambini, ragazzi e genitori chiedono : “ Quanto, prof?”  sperando che la risposta rimandi più ad una precisa quantità che ad una generica qualità. Nulla di male, dunque, se ritorniamo ai numeri. Anche perché la questione è molto più complessa.

Lo si vede ad occhio nudo: il problema della scuola e del sistema valutativo presenta aspetti delicati e ha profonde radici culturali, sociali, politiche e sindacali. Occorre, per esempio,  recuperare il senso dell’insegnare istruendo; ridefinire i termini della professione docente;  ripensare la pratica della valutazione come risorsa per motivare, accompagnare, sostenere l’avventura della conoscenza e il gusto dell’apprendimento significativo, critico e sempre più autonomo. Si tratta di un’esigenza innegabile.

Purtroppo è davvero reale il  rischio  di passare dalla padella dei giudizi, conditi o con frasi che non dicono nulla o con termini elaborati in didattichese spinto, alla brace dei numeri, alimentata da una prassi in cui spesso si confonde ancora tra verifiche e valutazione. Soprattutto, quando, a causa di un ambiguo e contradditorio uso dei voti, prevalgono le angosce (in alunni e genitori), i sensi di onnipotenza professorale, il bilancino dei numeri decimali con i mitici segni del più e del meno meno, che in tempi passati abbiamo vissuto e che spesso sono in atto ancora nelle superiori.

Non basta dunque l’articolo di un decreto legge per ridare fiato ad una cultura della valutazione che da tempo languisce nella scuola italiana. Senza la consapevolezza critica della dinamica, delle modalità e dei fini della scuola e della valutazione formativa, nella pratica quotidiana, effettuata in termini di personalizzazione, ricorrere al numero significa restare nell’ambiguità e nell’inefficienza valutativa. 

Leggiamo, per esempio, il comma 1 dell’art. 3: “Dall’anno scolastico 2008/2009, nella scuola primaria la valutazione periodica ed annuale degli apprendimenti degli alunni e la certificazione delle competenze da essi acquisite e’ espressa in decimi ed illustrata con giudizio analitico sul livello globale di maturazione raggiunto dall’alunno”. Ci chiediamo: Come mai viene accostata la valutazione degli apprendimenti con la certificazione delle competenze in termini di espressione numerica? Che cosa intendono gli estensori del testo con competenze? Perché la loro certificazione deve essere espressa in decimi quando la pur giovane tradizione italiana e la pratica europea procedono in altre direzione?  

Leggiamo anche  i commi successivi. Ci accorgiamo subito che nella scuola media  viene abolito il giudizio globale. Scopriamo poi che potrebbe bastare un cinque in una qualche materia per ripetere l’anno.

Posto che il ritorno ai voti introduce un elemento di chiarezza, come possono essere promosse e favorite la crescita e la cultura dei preadolescenti? Chi insegna alle medie   sa che cosa vuol dire trovarsi davanti a ragazzi e ragazze dalle situazioni mutevoli e dall’alterno rendimento, che recuperano sicurezza a poco a poco,  in un rapporto basato sul rispetto e il credito reciproco, secondo tempi e ritmi diversi anche nella pratica della valutazione.

Non si tratta di tenere nella bambagia gli alunni. Come già osservato, lo Stato stabilisce norme generali e standard minimi demandando poi l’applicazione intelligente ai consigli di classe

Va riconosciuta la valenza educativa delle scelte e delle decisioni di un’equipe di docenti, rispettata l’autonomia di una scuola nel sistema della valutazione degli apprendimenti, occorre infine tenere conto in modo esplicito degli aspetti globali dei processi di apprendimento.

Certo la lettura di certi giudizi sulle pagelle dei nostri figli imporrebbe un taglio netto ed immediato  con forme di valutazione deprimenti la didattica e l’educazione.

Speriamo che  nella conversione in legge del decreto o almeno nella circolare applicativa si  risponda positivamente e favorisca il lavoro di quanti vivono e praticano la valutazione come gesto di chi educa insegnando.