La domanda sull’opportunità e sulle caratteristiche di una valutazione di istituto è il filo rosso di tanti altri quesiti di docenti, genitori, presidi e studenti stessi.

Che cosa accade nelle migliaia di ore che un ragazzo passa a scuola? Che cosa ci guadagna quando frequenta la lezione e cosa ci perde quando è assente? Da che cosa si capisce che c’è un guadagno o una perdita? Se “Tutti gli uomini sono protesi alla conoscenza” (Aristotele) a chi e a che cosa una scuola può fare riferimento per leggere se stessa e valutare la sua azione?

A queste domande, attuali in questi giorni in cui entra alla ribalta la valutazione degli studenti, risponde Elena Ugolini, membro del Comitato di indirizzo dell’Invalsi, in un articolo pubblicato sul n° 16 della rivista “I quaderni di Libertà di educazone”. Ne proponiamo un ampio stralcio.

“…Il cuore della scuola non sono i “progetti” ma ciò che accade nelle classi, nei laboratori, all’interno dell’ora di lezione, ed il “risultato” vero di tutte le energie umane ed economiche che si investono nella scuola è quello che rimane nei ragazzi come patrimonio personale di crescita umana, culturale, tecnica e professionale (quando gli indirizzi hanno questo scopo.

La scuola italiana fatica a riconoscere che questo è il punto cruciale su cui occorrerebbe far ruotare tutto. E così si va contro l’esperienza quotidiana che dimostra quanto siano importanti gli insegnanti, la loro preparazione culturale, la loro capacità di lavorare insieme e la loro passione a comunicare ai loro studenti ciò che hanno imparato, per poi riscoprirlo insieme con loro. Questo discorso non piace, sembra gettare troppa responsabilità sulle spalle dei docenti che spesso si trovano davanti a ragazzi che sembrano “inerti”, con situazioni familiari ed umane tanto difficili da rendere quasi impossibile un “aggancio”, insegnanti che spesso si trovano soli, senza un aiuto adeguato da parte dei colleghi e dei dirigenti scolastici. Eppure, senza partire da questo punto, ogni discorso sulla scuola non arriva alle questioni vere: che cosa accade nelle migliaia di ore di lezione che un ragazzo frequenta? Qual è l’orizzonte concreto, chiaro, sintetico del lavoro che si fa a scuola? Che cosa viene messo a tema nei dipartimenti, nei consigli di classe, nei collegi dei docenti? Qual è la funzione che può svolgere il dirigente scolastico per aiutare questo lavoro? In che modo la legislazione può favorire e non ostacolare la realizzazione dello scopo vero per cui esiste la scuola? La domanda sull’opportunità di una valutazione di istituto e sulle caratteristiche che deve avere si può porre in modo corretto solo dopo aver risposto ai quesiti appena elencati. In questo modo, e solo così, la valutazione può diventare uno strumento per aiutare gli “attori” della scuola a riflettere sul proprio lavoro per migliorarlo.

Leggendo i piani dell’offerta formativa delle singole scuole si ha spesso l’impressione di un collage di iniziative, progetti, collaborazioni, senza uno scopo chiaro, motivato e in grado di orientare tutte le azioni. In qualunque altro campo una situazione del genere sarebbe inaccettabile: sarebbe come entrare alla FIAT e sentire solo parlare di assicurazioni auto e specchietti retrovisori, per evitare di discutere delle caratteristiche del motore. Tra i motivi di questa situazione si possono elencare tanti fattori: il centralismo di un sistema che scrive ancora l’organico per circa 800.000 insegnanti a Roma; un sistema di formazione e reclutamento dei docenti che non riesce a valorizzare competenze, professionalità,  esperienza e merito; la burocratizzazione di tutti i processi; la mancanza di una reale autonomia gestionale, finanziaria, didattica e di una vera parità; l’assenza di una governance chiara nella singola scuola, capace di rispondere su come vengono gestite risorse umane ed economiche; la delusione per tante riforme annunciate, mai realizzate piena pienamente e stratificate nel tempo; la mancanza di obiettivi chiari e condivisi da raggiungere a livello nazionale e di singola scuola. Tutti questi motivi non sono sufficienti a dar ragione di una emergenza che, come è stato detto nell’appello sull’educazione del dicembre 2004, proposto da un centinaio di personalità e sottoscritto in pochi giorni da migliaia di persone, è conseguenza della “crisi della capacità di un’intera generazione di educare i propri figli”………………………………………

……Non esiste attualmente una rappresentazione chiara e complessiva della scuola italiana sia in termini quantitativi che qualitativi. La “lotta” nell’uso strumentale degli stessi numeri dimostra quanto sia urgente far chiarezza. La stessa “indeterminatezza” esiste sulle singole scuole che costituiscono le vere unità “generative” o “degenerative” del sistema scolastico italiano. Stiamo parlando di 10.800 istituzioni scolastiche distribuite su circa 45.000 plessi scolastici, di circa 800.000 insegnanti e 10.800 dirigenti scolastici. Dovrebbero essere tutte “uguali”,dare lo “stesso” servizio, garantire la stessa possibilità di imparare su tutto il territorio nazionale, eppure sappiamo per esperienza che ogni scuola è diversa dall’altra, che in ogni scuola esiste una grande differenza tra una sezione ed un’altra, tra una classe ed un’altra. Senza avere dei punti di riferimento esterni, com’è possibile capire perché ci sono queste differenze, quali sono i punti di criticità, com’è possibile migliorare? I dati dell’indagine PISA ci dicono che all’interno del nostro Paese esiste una grande variabilità fra una scuola ed un’altra, molto più alta che quella esistente in diversi altri paesi a livello internazionale; ci dicono anche che il livello di apprendimento degli studenti dipende dal clima di lavoro in classe più che da altri fattori come, ad esempio, il numero basso di alunni per classe o l’ammontare di risorse finanziarie investite nel sistema educativo. Ma bastano i dati di un’indagine internazionale, pensata per misurare su vasta scala la differente efficacia dei sistemi educativi di 57 Paesi, a restituirci un’immagine chiara delle nostre scuole rispetto agli obbiettivi che la nostra scuola dovrebbe raggiungere?

……quale può essere il metro per misurare un luogo così complesso come la scuola? Se il “reattore nucleare” di ogni singola scuola è costituito da un rapporto fra persone che partono da contesti, condizioni, vissuti molto diversi, come sarà possibile descriverlo, misurarlo e valutarlo? Se, date delle indicazioni nazionali, ogni scuola è autonoma nel seguirle ed è fondamentale rispettare la libertà di insegnamento dei singoli docenti, com’è possibile offrire dei parametri comuni? Se lo scopo della scuola è la crescita umana, culturale, tecnica e professionale degli studenti, con quali strumenti sarà possibile e “legittimo” misurarla? In Italia si è deciso di non rispondere a queste domande, preferendo che le scuole fossero “controllate” rispetto alla correttezza dei processi burocratico amministrativi,senza individuare degli indicatori chiari e comparabili, capaci di mettere in evidenza le “differenze”. Poiché tutte le scuole statali italiane hanno insegnanti reclutati allo stesso modo, stesse risorse, stesso numero di studenti, dovrebbero essere tutte uguali.

……Ma che cosa c’è dietro un sufficiente, dietro un 7 o dietro un 100? Chi può realmente dirlo, oggi, in mancanza di riferimenti comuni? Le conseguenze di questa situazione sono gravi, il basso valore segnaletico dei voti crea un problema di asimmetria informativa, con il risultato di scoraggiare l’impegno degli studenti che non vedono premiato il merito e di non valorizzare il lavoro effettivamente svolto dagli insegnanti.

……Solo costruendo un nostro sistema nazionale di valutazione, che preveda anche una rilevazione standardizzata, e quindi comparabile, degli apprendimenti, potremmo avere ulteriori elementi rispetto a quelli, seppur preziosi, che derivano dalle indagini internazionali.

……Una valutazione esterna degli apprendimenti non potrà mai sostituire quella formativa, interna, affidata agli insegnanti ed al consiglio di classe. Ma, così come sarebbe impensabile insegnare senza introdurre delle verifiche all’interno del percorso per riuscire a capire “dove si sta andando”, allo stesso modo, per un sistema di scuole statali e non statali veramente autonome, che desiderano svolgere al meglio il servizio che è loro affidato dall’intero Paese, è fondamentale avere dei punti di riferimento. Per un preside e per gli insegnanti di una scuola è necessario osservare il proprio lavoro tenendo conto di quello che si fa in Italia e all’estero……..”