Dopo il primo successo del 2015, è tornato sul grande schermo Inside out, film d’animazione della Disney-Pixar che sta riscuotendo un grande successo al botteghino.

Personificando le emozioni esistenti all’interno delle persone e focalizzandosi su un personaggio in particolare, il primo film aveva provato a raccontare quello che succede a una ragazzina di undici anni (Riley), alle prese con alcuni grandi cambiamenti della sua vita. Seppur molto apprezzato, una non lieve critica riguardo al primo film verte proprio sul punto di chi è l’uomo e cosa rende l’uomo felice: la narrazione proposta, infatti, verteva fin troppo sull’idea che la persona è definita dalle emozioni che prova. Tanto che, nei titoli finali, venivano presentati gli stessi personaggi rappresentati le emozioni anche all’interno degli animali: si avverte una differenza, grande, questa non viene spiegata, né presentata fino in fondo.



Il secondo film, che vede una Riley di due anni più grande, restituisce in parte umanità e “distacco” dalle emozioni, non nel senso che queste non siano importanti nella quotidianità di una persona (del resto, questa è l’esperienza umana di chiunque), ma per il fatto che la persona non è definita solo da queste, al contrario si avverte pienamente che la protagonista è molto di più delle emozioni che prova.



Se, infatti, sulla scia del film del 2015, l’identità di Riley viene presentata come specchio delle emozioni che prova, o meglio che tali emozioni siano la radice della propria identità, il film presenta un’evoluzione del personaggio che porterà a scoprire come l’umano è molto più complicato di una singola emozione e che il proprio io non è la semplice derivazione delle emozioni: è anche il proprio vissuto, la propria esperienza, a formare l’identità della ragazza. Il merito di questo seguito sta proprio qui: togliere spazio al “monopolio” delle emozioni, restituendo un umano più umano.



Da questa identità manca però un aspetto che viene completamente trascurato (chissà se in eventuale terzo capitolo…), nella ragazza così come nei genitori, che è l’aspetto trascendente, da cui una vera e onesta rappresentazione dell’io non può certo prescindere: «Il non poter essere soddisfatto da alcuna cosa terrena, né, per dir così, dalla terra intera; considerare l’ampiezza inestimabile dello spazio, il numero e la mole maravigliosa dei mondi, e trovare che tutto è poco e piccino alla capacità dell’animo proprio; immaginarsi il numero dei mondi infinito, e l’universo infinito, e sentire che l’animo e il desiderio nostro sarebbe ancora più grande che sì fatto universo; e sempre accusare le cose d’insufficienza e di nullità e patire mancamento e voto, e però noia pare a me il maggior segno di grandezza e di nobiltà, che si vegga della natura umana» (G. Leopardi, Pensiero LXVIII).

Crescendo vengono inoltre presentate emozioni più complesse, tra le quali Noia, non intesa nel senso leopardiano di grandezza umana, ma molto più vicina all’attualità di questi giorni: un personaggio annoiato, sempre con in mano qualcosa di simile allo smartphone. La vera protagonista tra i nuovi personaggi è però Ansia, presentata in modo davvero convincente: schiava di sé stessa, è la rappresentazione della cultura odierna che chiede sempre il massimo della performance e che non ammette (e soprattutto non perdona) l’errore. Abbandonarsi ad Ansia porta inizialmente a una falsa efficienza che ben presto svela però tutte le preoccupazioni e i pericoli ipotetici: qui è la grande differenza con Paura, perché nel caso di Ansia i pericoli non riguardano Riley, ma l’obiettivo che deve raggiungere, al contrario di Paura che rimane centrata sulla sicurezza della ragazza. Questa cura della performance porta non solo a perdere il contatto con la realtà, tanto che si continuano a ipotizzare scenari tragici a cui bisogna essere pronti a rispondere, ma soprattutto fa perdere il senso del vissuto: Riley infatti non sarà felice se raggiungerà o meno l’obiettivo (allo spettatore scoprirlo), ma se scoprirà, nonostante tutto e nonostante i suoi errori, che fanno parte di lei e non sono una cosa a parte, di essere una persona amata.

Terminando, il film presenta davvero bene molte dinamiche umane, tenendo una narrazione simpatica e completando alcune lacune (il dominio delle emozioni) che sembravano emergere nel primo.

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