Saranno gli Stati Uniti d’America e le tensioni sociali sull’orlo di una guerra civile il tema centrale del sesto appuntamento con “Inside”: il ciclo di incontri organizzato da IlSussidiario.net per questa settimana si allontana solo “apparentemente” dal tema coronavirus e prova ad intercettare quanto di grave stia avvenendo in America dopo l’uccisione del 46enne afroamericano di Houston, George Floyd da parte della polizia di Minneapolis. Gli scontri sociali, il coprifuoco, le difficoltà della gestione Trump e il mai-risolto problema del razzismo sono alcuni degli elementi che servono per spiegare il disagio della “pancia” americana già travolta dalla crisi economica e di lavoro per l’emergenza Covid-19. Dopo il successo degli incontri nelle 5 precedenti settimane e dopo aver discusso i temi del lavoro, dei “giochi di potere” dietro al coronavirus, del rilancio turismo, della grave crisi economica successiva al Covid e della problematica sul mondo Scuola, si arriva oggi a discutere del tema razzismo e scontri negli States con ospiti d’eccezione. Giovedì 4 giugno dalle ore 18.30 e in diretta video streaming sugli account social del Sussidiario Facebook, Twitter, su IlSussidiario.net e on demand su YouTube, sarà possibile assistere gratuitamente al sesto incontro sulla pandemia Covid-19.
“L’America brucia“ è il titolo scelto per il sesto appuntamento con Inside, dove dialogheremo con:
Maurizio Maniscalco, Musicista e scrittore che vive in Minnesota
il prof. Paolo Carozza, Professore alla Law School dell’Università di Notre Dame, Indiana
Massimo Gaggi, Inviato del Corriere della Sera in America
Paolo Magri, Vicepresidente esecutivo e direttore ISPI
conduce Enrico Castelli, Giornalista, già Vicedirettore TgR Rai
IL CASO FLOYD E PERCHÈ L’AMERICA STA BRUCIANDO
L’occasione dell’incontro odierno di “Inside” proverà a rendere meno “confuso” il quadro della situazione che dall’America rapidamente si sta traslando anche in tutto l’Occidente: l’uccisione di George Floyd durante un tentato arresto e le conseguenti rivolte sociali (miste alle provocazioni del gruppo “Antifa”) hanno accesso focolai di protesta in quasi tutti gli Stati Uniti d’America, portando il seme della rivolta anche nelle altre Capitali europee e del mondo. Non vi è solo la “bandiera” del problema razzismo, ma si insinuano diversi altri spunti oggi tutti sul tavolo della discussione qui a “Inside”: il disagio per l’emergenza coronavirus, l’ampliamento delle differenze tra le diverse classi di lavoratori e cittadini, le Elezioni Usa 2020 sullo sfondo e lo scontro accesissimo tra gli Usa di Trump e la Cina di Xi Jinping rendono il tema “America” incendiario da diversi punti di vista. L’ultimo e quello che più sta facendo discutere è proprio il “caso-Floyd”: lunedì 25 maggio la polizia di Minneapolis arresta il 46enne afroamericano per il sospetto uso di banconote false nell’acquisto di sigarette. Dopo 17 minuti dall’intervento degli agenti, Floyd viene dichiarato morto: in un video diffuso solo qualche ora più tardi si vede l’agente di polizia Derek Chauvin (ora agli arresti con l’accusa di omicidio, ndr) premere il suo ginocchio sul collo di George Floyd per 8 minuti e 46 secondi e gli altri agenti non fare nulla per fermarlo. Da qui si scatena una rivolta popolare prima a Minneapolis poi in diverse altre città americane; l’intervento prima di polizia e poi della Guardia Nazionale inviata dalla Casa Bianca, con tanto di aggiunta di coprifuoco in diverse metropoli d’America, scatena la protesta globale che è giunta fino in Europa una settimana dopo i tragici fatti del Minnesota.
I POSSIBILI SPUNTI
«Se partono i saccheggi, si inizia a sparare», ha minacciato il Presidente americano Donald Trump dopo le prime proteste avvenute nelle città di mezza America che nulla c’entravano in molte occasioni con le legittime richieste di giustizia per la morte di George Floyd: accanto alle manifestazioni anti-razziste- con la dovuta preoccupazione per il distanziamento da coronavirus essendo gli Usa i maggior colpiti al mondo dalla pandemia oggi – sono cominciati saccheggi di negozi, devastazioni di strade e commissariati e purtroppo un numero ancora non ben calcolato di vittime nell’ordine delle decine in tutti gli States. Provare a dirimere possibili spunti di discussione è questione da un lato “semplice” dall’altro occorrerà la massima attenzione per non incappare nella dicotomia manichea “giuste le proteste sempre” o “vietate le proteste sempre”. Il caso Floyd ha risvegliato un tema mai del tutto esaurito in America, ovvero il razzismo: quanto v’è nelle roboanti “esplosioni” di proteste in tutti gli Stati Uniti tale tema e quanto non sia un “pretesto” per un disagio più grande? La modalità aggressiva di Trump quanto ha influito sull’evoluzione delle proteste? Il silenzio quasi totale degli amministratori (democratici) del Minnesota che cosa nasconde dietro? L’invito di Barack Obama a riversare la rabbia e le proteste nel prossimo voto democratico in autunno, come unica modalità per non far vincere la violenza, sarà ascoltato? Quanto del disagio sull’emergenza coronavirus inficerà nei prossimi giorni le eventuali nuovi proteste a carattere nazionale contro la Casa Bianca e l’esercito? E infine, quella rabbia sociale vista in video e immagini allucinanti, è un rischio solo americano o si può temere che in parte potrà arrivare anche in Italia nelle prossime settimane?