Scrivere insulti nei confronti di qualcuno su Facebook (o altri social network) è reato anche senza fare il nome della persona in questione. Spesso i social vengono usati come luogo per sfoghi personali ma anche frecciate, provocazioni e insulti nei confronti di conoscenti, colleghi, “amici”, parenti ma anche sconosciuti. A volte il nome viene menzionato mentre altre volte no. Nonostante questo, che venga fatto o meno il nome della persona insultata, si tratta di un reato. Quando infatti le espressioni denigratorie sono riconducibili ad una determinata persona, parliamo del reato di diffamazione aggravata.



Ma in cosa consiste nel dettaglio tale reato e quando un’offesa sui social network diventa tale? Andiamo a capire di più con le spiegazioni degli esperti de “La Legge è uguale per tutti”. Il sito di informazione legale ha infatti spiegato come non basti non nominare l’interessato per non rischiare di incappare in sanzioni. Insultare su Facebook o social vari senza fare nomi è ugualmente reato – e più precisamente diffamazione aggravata – quando le offese e gli insulti sono riconducibili “in modo univoco a una determinata persona. Questo si ricava dal contesto e anche dal luogo in cui il post è stato inserito, come la «bacheca Facebook”.



Insulti su Facebook e social sono reato: cosa dice la Cassazione

Gli insulti su Facebook o altri social network non sono consentiti neppure nel caso in cui non venga menzionata la persona in questione: si tratta di reato anche se non viene fatto il nome. A stabilirlo è stata la Corte di Cassazione, che in una recente sentenza ha confermato la condanna per diffamazione aggravata di due donne. Le due avevano rivolto insulti e accuse ad una collega sui social, prendendola di mira e chiamandola “nana”. I commenti dispregiativi non sono passati inosservati e hanno portato la donna in questione a denunciare.



La Corte ha ritenuto che “lo specifico contesto territoriale in cui operavano gli imputati e la persona offesa” (nel caso si parlava di una cittadina con meno di 20mila abitanti) e “la combinazione di elementi” desumibili dai commenti, fossero abbastanza da rendere riconoscibile la persona insultata sui social. L’offesa si era propagata nella cerchia di amici e in quella lavorativa e aveva raggiunto lo scopo del reato di diffamazione aggravata dal mezzo della stampa o da “qualsiasi altro mezzo di pubblicità”, come riporta l’art. 595 del Codice penale.