Con la nascita dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale, una nuovo apparato della sicurezza nazionale posto fuori dal perimetro stretto del sistema di informazioni e sicurezza ma strumentalmente connesso agli apparati d’intelligence, è formalmente iniziato il processo di ammodernamento del comparto della sicurezza nazionale direttamente afferente alla presidenza del Consiglio dei ministri. Un processo che potrebbe portare ad un revisione, richiesta da più parti, della stessa legge di riforma dell’intelligence nazionale. In questo senso si è pronunciato recentemente anche l’Autorità delegata alla sicurezza della Repubblica Franco Gabrielli, già direttore del Sisde, dell’Aisi e capo della Polizia.
Negli ultimi dieci anni il mondo dell’intelligence ha fatto importanti progressi dal punto di vista della professionalizzazione, della comunicazione e del riconoscimento sociale della sua funzione, fugando definitivamente dubbi sul suo ruolo e sulla utilità indiscussa per garantire la sicurezza interna ed esterna della Repubblica. Tuttavia, lo sdoganamento del mondo dell’intelligence e la sua inusuale sovraesposizione mediatica non sono sempre stati accompagnati da una sufficiente riflessione politica e culturale su che cos’è realmente il mondo dell’intelligence, a cosa esso serve ed in che modo esso si relaziona con il mondo della politica e del controllo democratico sulla politica stessa.
Eppure una maggiore consapevolezza su cosa è l’intelligence, cosa dovrebbe essere e cosa non può diventare sono presupposti fondamentali per poter portare a termine con consapevolezza i processi di trasformazione di questo delicato comparto della vita nazionale. Insomma una riforma dell’intelligence presuppone una chiarezza condivisa degli elementi di continuità da preservare anche nei momenti di trasformazione. Senza questa chiarezza di identità e di funzione si rischia che i tanti driver di cambiamento che bussano alle porte socchiuse del comparto della sicurezza nazionale possano spingere verso cattive riforme o verso cambiamenti solamente esteriori.
È dunque opportuno ricordare che l’intelligence è in primo luogo una forma particolare di conoscenza a disposizione dei governi faticosamente costruita da apparati dedicati dello Stato, che raccolgono ed analizzano informazioni non accessibili in quanto protette o segrete. In maniera estremamente semplice e primitiva possiamo dire che il compito principale dell’intelligence è quello di analizzare e dare un senso ad informazioni violate, carpite o rubate a chi, Stati o individui, le possedevano o le proteggevano. Ciò allo scopo di far acquisire al proprio governo un vantaggio informativo con cui prendere decisioni maggiormente favorevoli all’interesse e alla sicurezza nazionale.
Quando si parla in termini generali di riforma dell’intelligence si pensa normalmente agli aspetti organizzativi, da quante agenzie il sistema è composto, come sono divise tra esse le competenze, quali poteri speciali dà ad essi la legge. Sono su questi aspetti che si concentrano normalmente i vari progetti di riforme. L’aspetto legislativo/organizzativo rappresenta solamente una delle dimensioni, sicuramente la più visibile e probabilmente la più importante. Tuttavia, il complesso mondo dell’intelligence va ben oltre gli aspetti organizzativi delle strutture e delle leggi che le organizzano e ogni visione di riforma dovrebbe abbracciare l’intero spettro multilivello del sistema.
Possiamo difatti distinguere il mondo dell’intelligence in numerosi livelli concentrici: la prima fondamentale divisione è quella tra livello interno e livello estero ed i rapporti tra di essi; il secondo è quello delle strutture nazionali preposte ed autorizzate ad operare nel comparto dell’intelligence e loro forme di integrazione e divisione del lavoro; quindi il livello operativo dei processi di raccolta ed analisi delle informazioni; a cui fa seguito quello della trasformazione delle informazioni in prodotti capaci di rispondere ad un bisogno decisionale dell’esecutivo; vi è poi il livello sempre critico del rapporto tra interessi della politica ed interessi nazionali; ed infine la capacità di un sistema decisionale di utilizzare l’intelligence tanto a livello tattico quanto a livello strategico; infine vi è il livello dei controlli parlamentari che dà stabilità e credibilità al sistema.
Riformare un sistema di intelligence vuol dire in primo luogo avere una chiara visione della complessità di questi livelli e delle loro interazioni ed immaginare un’architettura che li mantenga in stretta coerenza. Spesso tuttavia i cambiamenti sono prodotti da fattori esterni, che impattano sul sistema dell’intelligence e ne modificano alcuni caratteri senza produrre una architettura coerente. È per questo che i processi di riforma devono tenere conto sia dei fattori di novità che intervengono, sia della più ampia funzionalità del sistema.
Nella storia i principali fattori di trasformazione dei sistemi di intelligence sono stati i più diversi: la modifica della natura della minaccia; i cambi di regime ed i processi di democratizzazione; il verificarsi di eventi inaspettati, come attentati o conflitti non previsti; improvvisi cambiamenti geopolitici e nei sistemi di alleanze; fallimenti operativi attribuibili all’intelligence; abuso delle strutture di intelligence da parte del sistema politico; nuovi limiti posti dal potere giudiziario; sviluppo di cambiamenti ed innovazioni tecnologiche. Numerosi sistemi di intelligence occidentali sono stati modificati in passato per far fronte ad uno o più di questi cambiamenti intervenuti ed attualmente Paesi come la Francia, la Germania e l’Austria hanno in corso processi di revisione delle strutture.
Il sistema italiano di sicurezza ed informazioni per la Repubblica ha conosciuto un’importante e qualificata riforma nel 2007 che ha risposto, con un certo ritardo rispetto agli importanti cambiamenti avvenuti nel 1989 e nel 2001, alle esigenze di modernizzazione del nostro comparto. Tuttavia i quasi quindici anni passati da quella riforma hanno visto svilupparsi, oltre ad alcune criticità nei meccanismi di funzionamento della legge, nuove ed inattese trasformazioni nell’ambiente internazionale che spingono nuovamente verso un aggiornamento del sistema. Tale opportunità di riformare l’intero sistema avviene tuttavia in una fase in cui l’estrema complessità del sistema internazionale coincide con una particolare debolezza del nostro Paese ed un indebolimento delle strutture di alleanze politiche e di sicurezza occidentali.
È dunque necessario evitare che una riforma frettolosa del comparto intelligence in un momento particolarmente critico delle relazioni internazionali risulti in un ulteriore rattrappimento del nostro sistema Paese, rendendoci meno capaci di affrontare le sfide importanti che si stanno accumulando nella nostra regione geopolitica. Mai come oggi l’Italia ha bisogno di un’intelligence competitiva e attrezzata ad affrontare le numerose sfide che provengono dal nostro estero vicino e da un sistema globale che interconnette le instabilità di sistemi regionali molto distanti tra loro e le trasferisce all’interno dei confini nazionali.
(2 – continua)
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