L’Intelligenza artificiale fa paura. Anche a chi la pratica servendosene per quello che può o che sa. Che non è mai molto ed è soggetto a cambiamenti repentini e quasi sempre inaspettati. Perfino un mago della finanza come Warren Buffet è stato spiazzato dalla decisione di Tim Cook di integrarne l’applicazione sui propri dispositivi vendendo le azioni della Apple prima dell’annuncio che ha fatto schizzare verso l’alto il loro prezzo con una perdita calcolata in 5 miliardi.
È un terreno sconosciuto quello nel quale dobbiamo camminare e tutto ciò che possiamo fare per evitare errori marchiani è armarci di coraggio e prepararci al meglio cercando di entrare nella dimensione culturale di chi accetta una sfida. Come sempre, ignoto e incertezza ci mettono a disagio più di qualsiasi altra situazione psicologica. E allora non resta che uscire dalle bolle dell’acclamazione e della demonizzazione a priori per prendere le misure che servono.
Anche perché un interessante rapporto illustrato da Marco Taisch (Politecnico di Milano e molte altre cose) a un seminario sul tema organizzato da Economy informa che il mercato dell’IA avrà una crescita esorbitante nei prossimi anni passando dagli attuali 136 miliardi di dollari a 1.812 miliardi entro il 2030. Vuol dire che la tecnologia si diffonderà in lungo e in largo nel pianeta premiando naturalmente chi saprà farne migliore uso in tutti i campi d’azione.
Si tratta di un’innovazione radicale. E già il 77 per cento delle aziende nel mondo dichiara di starne esplorando le potenzialità e il 72 per cento ritiene che la sua corretta gestione sarà il più formidabile elemento competitivo degli anni a venire. Il concetto di fondo cha va assorbito per entrarne meglio in relazione è che l’Intelligenza artificiale non è una semplice per quanto formidabile tecnologia, ma una componente stabile e duratura della nostra vita quotidiana nel tempo libero e nel lavoro.
Le imprese per il mestiere che fanno sono naturalmente le prime a interrogarsi su come usarla per battere i concorrenti con prodotti migliori o costi più bassi o funzioni più interessanti o comunque con tutto quello che potrà venire dall’assorbimento della grande novità. Ed è chiaro che non basta che ci sia un capo illuminato per avere successo perché la pervasività dello strumento impone che l’intero sistema sia in grado di percepirne la forza e trarne i vantaggi.
A essere investiti dal ciclone sono tutti i settori produttivi, in particolare banche (finanza, assicurazioni) e manifattura. Ed è chiaro che chi si appresta a fare dell’IA la propria arma strategica sa bene che lo stesso vale per il competitore che si vuole superare o il mercato che si s’intende conquistare. In questo l’innovazione è molto democratica, anche se non si può nascondere il fatto che a beneficiarne per prime saranno le realtà di maggiori dimensioni e disponibilità.
Tra le barriere che ancora ne impediscono o ne rallentano l’adozione figura al primo posto proprio il dato economico. Non tutti possono o credono di poter sostenere le spese che servono a finanziare la rivoluzione. E subito dopo compare il nodo delle competenze che sono indispensabili per l’utilizzo e l’implementazione dei programmi che abilitano i processi. Manca un po’ di fiducia in se stessi e nella propria organizzazione preoccupata, tra l’altro, di perdere occupazione.
Ai problemi tecnici si aggiungono quelli morali con la preoccupazione dominante di perdere il controllo della situazione lasciando alle macchine e al loro software, che potrebbe rivelarsi infernale, il compito di prendere decisioni delicate e umanamente non desiderabili. Ancora di più occorre, dunque, essere all’altezza di questo portato della modernità al quale non si può sfuggire se non si vuole scomparire. Procedere con coscienza è l’unica possibilità che ci è data.
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