Molto rumore per nulla, o forse no. Come noto, negli ultimi giorni le dichiarazioni rilasciate in Parlamento dal ministro della Giustizia Carlo Nordio in materia di intercettazioni hanno innescato sia duri attacchi dei suoi ex colleghi magistrati che malumori di pezzi della maggioranza di governo, tanto da accreditare voci di probabili dimissioni poi completamente rientrate in considerazione del fatto che, come da lui stesso chiarito, la sua linea resta in perfetta sintonia con la premier e con quella del governo, come attestato dalle votazioni ottenute sulla risoluzione sulla giustizia, passata con 100 voti contro 50 al Senato, e con la stessa percentuale alla Camera.



Al netto dell’indubbia poca accorta gestione della comunicazione del ministro della Giustizia, non pare giustificabile tanta fibrillazione se solo si leggono per esteso le dichiarazioni di Nordio pronunciate alla Camera, dalle quali si evince la piena conferma che il governo non ha alcuna intenzione di limitare le intercettazioni “per reati di mafia e di terrorismo” e nemmeno, si badi, quelle per i reati “satellite”, emergendo, al contrario, una chiara denuncia rispetto agli abusi dell’uso delle intercettazioni, da cui discende l’intenzione di voler intervenire per limitarli.



Certo, si legge altresì un delicato passaggio sul fronte dei rapporti con la magistratura (che senz’altro poteva ben essere evitato) quando viene formulato l’auspicio che il Parlamento, che verrà nei prossimi mesi chiamato a varare le riforme che lui proporrà, “non sia supino e acquiescente a quello che sono le affermazioni dei pubblici ministeri”. Esternazione questa che, inevitabilmente, ha innescato reazioni polemiche dell’Anm, comprese le correnti anche moderate della magistratura, e i distinguo degli alleati di governo, riuscendo nell’inedito risultato di far vestire a Matteo Salvini i panni del moderatore con l’invito ad abbassare i toni.



Nonostante tale passaggio, la contrapposizione che ne è derivata, alimentata anche dal collegamento fra il fresco arresto del più longevo latitante d’Italia e l’uso delle intercettazioni, risulta francamente stucchevole e sembra creata ad arte per intorpidire le acque. Ricordando, a beneficio dei non addetti ai lavori, che da pubblico ministero, proprio grazie all’uso delle intercettazioni, Nordio diede vita tanto all’indagine sulla Tangentopoli veneta, portando a processo gli ex ministri De Michelis e Bernini, quanto a quella sulle ruberie di denaro pubblico attorno al Mose, risulta difficile immaginare che il ministro non sia consapevole che senza intercettazioni sarebbe praticamente impossibile fare indagini sui fatti di corruzione, che per sua natura è assai difficile da far emergere, non essendoci quasi mai testimoni, denunce e nemmeno parti offese. Al contempo, è altresì cosa notoria che la gestione delle intercettazioni, come appunto ricordato dallo stesso Nordio, sia stata spesso strumento per il perseguimento di fini assai poco nobili.

Francamente occorre, una volta per tutte, fuoriuscire dallo schema secondo il quale chi critica le distorsioni provocate dall’abuso di indispensabili strumenti investigativi venga additato quale nemico della giustizia e della legalità. Certamente il ministro non erra nel ricordare, come pure più volte scritto in queste pagine, che le intercettazioni non sono una prova, bensì un mezzo di ricerca della prova, ma nonostante ciò si assiste spesso a innumerevoli processi in cui gli unici elementi di prova portati a giudizio dall’accusa sono solo le intercettazioni, producendosi così una evidente distorsione del sistema processuale.

Inoltre, a ulteriore riprova che in alcun modo le sue dichiarazioni devono essere contrapposte all’uso delle intercettazioni in relazione all’arresto di Messina Denaro, giova ricordare, benché sui vari mezzi di comunicazione la circostanza non sia stata mai evidenziata, che le intercettazioni adoperate per la cattura dei latitanti sono soggette ad una diversa disciplina rispetto a quelle ordinarie e solo a queste seconde si è riferito il ministro.

Certo, Nordio è spesso vittima di un furore comunicativo e, come accaduto mercoledì in Senato, talvolta eccede nei paradossi, ma sarebbe preferibile che la sua azione venisse valutata sui provvedimenti concreti che appronterà e non sulle sue stesse dichiarazioni. Bene ha fatto allora il procuratore di Perugia, Raffaele Cantone, a sottolineare come il dibattito di questi giorni rischi di risultare in buona parte anacronistico, se si considera che la criminalità organizzata parla oramai in maniera esplicita di traffici di droga e armi su nuove e sofisticate piattaforme informatiche, evidenziando che lo stesso trojan, il virus che trasforma i dispositivi elettronici in microspie, è di fatto già superato dalle nuove piattaforme.

La criminalità organizzata, ahinoi, è effettivamente molto più all’avanguardia di quanto si pensi e sarebbe assai più utile provare a capire quali diverse strategie occorre approntare per affrontarla, anche alla luce dei mutati scenari che si innescheranno a seguito della cattura di Messina Denaro, piuttosto che alimentare polemiche strumentali. Siamo sicuri di sbagliare, ma quanto accaduto in questi giorni fa sorgere il sospetto che contro Nordio si stia creando un fronte compatto composto da tutti coloro che vedono in lui l’uomo in grado di riuscire a portare fino in fondo la linea garantista in cui crede, scardinando quelle dinamiche che hanno caratterizzato gli ultimi trent’anni di storia giudiziaria di questo Paese.

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