Graziano Delrio prudentissimo, ma convinto nel dire che il tentativo di accordo di legislatura tra Pd e Cinquestelle va fatto con impegno e fino in fondo; Giancarlo Giorgetti rispettoso dell’interlocutore e della sua buona fede, ma seriamente preoccupato di quel che a suo dire i cittadini vedono in questo genere di trattative politiche, cioè qualcosa di totalmente lontano dalla realtà, salvo per la comune determinazione a salvare il proprio posto in Parlamento; Mariastella Gelmini convinta assertrice del voto subito per affermare un centrodestra di governo che sia però europeista e liberale, e puntuta nel suo “no” a eventuali “governi salvo intese”: se i miracoli politici accadono, uno s’è visto alla riunione dell’Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà, celebrata a Rimini come di consuetudine nella penultima giornata del Meeting con il videocollegamento di Delrio da Roma, perché il capogruppo Pd alla Camera era in procinto di prendere parte proprio alla prima riunione del partito sulla trattativa dedicata all’ipotesi di un governo a maggioranza giallo-rossa. Il miracolo è consistito in un dibattito intenso e pacato, come sempre in questa sede. Ma non al punto da riverberare riflessi magici anche sulle trattative romane, che si confermano invece difficili e delicate sia per chi le sta svolgendo in queste ore, sia per chi le sta subendo, sia per il Paese che forse – è la sensazione che emerge da molti passaggi dei vari interventi – in un certo senso rischia di rimetterci comunque da questa fase involuta e lacerata della vita politica nazionale.



“Stiamo cercando di fare un tentativo, e lo dico perché anche Giorgetti quindici mesi fa ha fatto un tentativo e ha poi preso atto che non dava frutti sperati – ha detto Delrio – e stiamo cercando di capire se ci sono le condizioni per sviluppare un’agenda-Paese che sia imperniata sul lavoro, perché l’Italia ne ha assoluto bisogno. Il lavoro è il tema che vorremmo al centro, se lo si vorrà affrontare e se queste ore ci diranno che si può fare un tentativo vero, con pilastri come il salario minimo, la parità di genere nei salari, la riduzione del costo di lavoro… ecco, spero che il dialogo riesca ad affrontare i problemi che le famiglie e le imprese hanno visto purtroppo aggravarsi nel corso dell’ultimo anno, sul fronte dell’occupazione, della crescita e degli investimenti. L’anno bellissimo annunciato da Conte si è rivelato una previsione sbagliata. Siamo preoccupati, ma non perdiamo la speranza di costruire il nuovo. Con questo spirito ci apprestiamo a fare un tentativo di lavoro comune – ha aggiunto Delrio – senza grandi presunzioni, ma sapendo che c’è una grave emergenza da affrontare, l’emergenza di una crisi non solo economica, ma di fragilità complessiva del sistema Paese, un Paese che deve ritrovare uno spirito comune e una capacità di coesione”.



Delrio si è detto felice di essere potuto “approdare al porto di Rimini per dare un segnale di disponibilità al lavoro comune, il dialogo è un piacere e un dovere tra chi ha identità forti, non dobbiamo averne paura…”.

Prendendo la parola, del resto, Delrio si era riallacciato all’introduzione appassionata con cui Giorgio Vittadini – presidente della Fondazione per la Sussidiarietà – aveva sottolineato come la fase di crisi istituzionale che il Paese sta vivendo accentuava l’importanza dell’incontro: “Che in un momento di crisi come questo, esponenti di partiti diversi e anche opposti possano incontrarsi e discutere con pacatezza sottolinea l’importanza di avere un luogo in cui sia sempre possibile il dialogo, al di là delle divisioni. Negli anni della Seconda Repubblica – ha proseguito Vittadini – abbiamo dapprima sostenuto la formula del bipolarismo mite, e poi dopo la nascita dell’Intergruppo dicemmo che avrebbe potuto essere la sede di una nuova, possibile costruzione istituzionale. Il Meeting è stato la sede di questo dialogo, proseguito lungo tutte le legislature. Possiamo oggi dire che nessun problema può essere affrontato e risolto se non con questo approccio”.



Per Mariastella Gelmini, capogruppo di Forza Italia alla Camera, “se riusciamo ad andare controcorrente, ponendoci come persone non individualistiche e recuperando capacità di ascolto e confronto, restituiamo credibilità alla politica, ciò di cui oggi ha più bisogno. Venendo all’oggi, abbiamo una fortuna: quella che ci sia un arbitro imparziale saggio ed equilibrato come Mattarella che sta provando a dare un ordine a questa crisi e valutare quale possa esserne l’esito nel rispetto del dettato costituzionale”. Parole severe la Gelmini le ha avute sull’intervento al Senato dell’ex premier Conte, “apparso più che altro come un redde rationem che aveva poco di politico” e ha poi sottolineato che gli obiettivi più importanti per il futuro del Paese – tra cui la giusta formazione per il nuovo lavoro, la natalità, la conciliazione dei tempi di vita e lavoro delle donne – si possono portare avanti solo attraverso l’azione di una maggioranza politica che si proponga come omogenea fin da prima del voto. Perché comunque serve una terza via tra lo scontro muscolare e l’inciucio di palazzo, ci deve essere un voto per avere una maggioranza chiara. Questa è la sfida che abbiamo davanti. Come Forza Italia – ha concluso – crediamo che si debba votare, che la Lega sbaglierebbe a tornare con Di Maio, e che non esistano convincenti maggioranze alternative”.

Dunque al voto, ma con una maggioranza di centrodestra coesa fin da prima del voto e coesa anche su un europeismo critico – perché l’Europa deve cambiare – ma convinto, perché la nostra patria è l’Europa, è questo il bagaglio culturale e valoriale che abbiamo e che dobbiamo far vivere in tutta la sua forza e dobbiamo rigenerare mentre invece oggi l’Unione è sentita come una matrigna. “Ci aspettiamo dai nostri alleati – ha concluso – risposte un po’ più calde di quelle avute negli ultimi giorni, la concretezza si costruisce restando uniti sul buon governo e sui principi comuni. E comunque, diciamo no a un Governo ‘salvo intese'”.

E in realtà, secondo Giancarlo Giorgetti, un’intesa – una sola, ma chiara – tra M5s e Pd c’è già, ed è “mantenere il posto che hanno in Parlamento”, dice. “Vedete, chi ha a cuore la democrazia rappresentativa non dovrebbe guardare con disprezzo l’opposizione, e io mi attengo a questo criterio, ma mi disturba che oggi non sia un dibattito vero sul futuro a unire i parlamentari di Pd e M5s, ma la conservazione del posto. Non uso il termine ‘inciucio’, però non è possibile che la stessa persona che fino all’altro ieri ha votato una serie di cose dopodomani voti il contrario, perché allora se lo fa c’è qualcosa che non funziona… Il Parlamento è la sede di un confronto tra idee, non il posto dove perpetuare la classe politica. A chi critica Salvini io rispondo: se dopo 14 mesi dove sono state fatte tante cose, anche positive, si prende atto però che manca un metodo per continuare a fare cose concrete e pone la questione: o ci diamo un metodo o che è meglio smetterla e prendere atto che il metodo non c’è, è un errore? Significa essere politicamente stupidi? No, significa dire la verità”.

E insomma, cosa accadrà? “Noi e M5s, quando ci siamo messi d’accordo, eravamo diversi, ma accomunati dal provenire entrambi dall’opposizione”, ha detto Giorgetti. “Ora vedremo: dico che semplicemente il Governo deve poter prendere decisioni, se non ci riesce meglio mettere tutto in discussione. E attenzione, dico a chi non capisce questa grande esigenza di verità: attenzione a non disconnettersi dalla realtà del Paese e a non chiudersi nel castello e nel palazzo, perché ho l’impressione – e non voglio agitare le piazze, con questo – che la gente comune vede tutto questo come manovre fini a se stesse…”

Per Giorgetti, oggi la politica è divisa in due dimensioni, che si esprimono nel confronto-scontro tra due poli, il Palazzo e piazza. “La piazza è social, troppo. Ma il Palazzo è troppo asocial, ha perso completamente il contatto con la realtà. Chi vive il dibattito parlamentare ne ha piena consapevolezza. Se non si riuscirà, nella dimensione politica, a riconnettere questa piazza social che non riflette e non pensa e agisce di pancia alla politica di Palazzo che riflette troppo, pensa troppo a cose estranea alla realtà, si perpetuerà una lacerazione molto grave. La Costituzione affidava ai partiti questo collegamento tra la piazza e il Palazzo. Ma oggi dove sono i partiti? E dov’è la democrazia parlamentare che doveva collegare la società al Palazzo?”. Giorgetti non lo dice, ma Tangentopoli ha raso al suo i partiti, privandoli delle fonti di finanziamenti lecite e illecite che però li tenevano in vita, senza che la politica abbia saputo costituirne di alternative.

Ma il sottosegretario uscente alla Presidenza lascia la platea con un ultima provocazione intellettuale: “Potremmo dire che meno Stato c’è, meglio è. Ma senza Stato, chi difenderà i popoli da quei soggetti extra-istituzionali che senza alcuna legittimazione oggi hanno autorità persuasiva, stampano moneta, monopolizzano globalmente interi business. Allora, forse, serve ancora uno Stato sovrano in cui la sovranità appartenga al popolo, anche per aver voce nelle istituzioni sovranazionali dove c’è il potere vero, ma oggi è svincolato da ogni meccanismo democratico. Quel che non deve più esserci è uno Stato-mamma, uno Stato assistenziale. E lo dico anche pensando al dibattito sul Sud e sul consenso che la Lega ha raccolto nel Sud. Mi ha colpito Speranza, poco fa, quando mi ha fatto notare che se Salvini non sarà più al Governo il suo consenso al Sud sarà inferiore. Dalle mie parti, al Nord, invece, il politico al governo è mal sopportato… In realtà, se il Sud non torna a essere e a sentirsi pienamente responsabile delle sue azioni non ne usciamo”.

Come uscirne allora? È in fondo proprio la responsabilità e lo spirito di iniziativa personale il contenuto del richiamo finale di Vittadini. “Non possiamo più dare per scontato che ci sia il soggetto”, ha detto. “Non solo soggetti sociali come i corpi intermedi. Ma non è scontato che ci sia l’io, un io dotato di ragione, volontà, autocoscienza”.

Da qui occorre ripartire: dall’educazione del soggetto.