L’annuncio di Banca Intesa Sanpaolo ha senza dubbio tutte le caratteristiche della vera notizia e certamente non solo nel giro ristretto della comunità bancaria, né solo nel perimetro del Paese. Fino a poco tempo fa lo scenario sembrava quello di un mondo bancario un po’ fermo, incerto, occupato solo a sistemare i coefficienti richiesti a Francoforte. Oggi da una parte e in un senso Unicredit, dall’altra questa mossa storica e con pochi o nessun precedente in Italia, di Banca Intesa, dall’altra ancora il cammino di quel cruciale settore che è il credito cooperativo, aggiornato nel modello delle Holding e nel ripensamento della natura stessa della solidarietà, l’industria del credito sembra marciare con autonomia e convinzione. «Ciò banalmente anche perché siamo nel mezzo delle scadenze di molti piani industriali», ci dice Massimo Masi, dal 2008 Segretario generale della UILCA (la Uil del settore credito e assicurazione). «Ma soprattutto perché è la prima volta nella storia che è difficilissimo per chiunque immaginare quale possa essere il modello fra 5 anni», aggiunge il leader sindacale, «e questo costringe a muoversi in qualche modo».
La notizia presenta una motivazione industriale che si tiene in piedi perfettamente e anche a dare retta a qualche retroscenista, che osserva che in questo modo Banca Intesa si pone al riparo dai rischi del risiko europeo, la cosa non sarebbe un difetto.
È vero. E ho massimo rispetto della motivazione e del punto di vista economico, però se assumo una visione di globalità non posso non esprimere qualche preoccupazione.
Perche?
Perché due gruppi grandi, forti e sani si uniscono e chi si occuperà dei casi difficili? Penso a Carige, Montepaschi, a Bari. La mossa a sorpresa scombina tutto, che faranno adesso le medie; e le piccole? Premesso che al momento abbiamo un annuncio, non conosciamo gli esatti contenuti e contorni e si apre anche un periodo legalmente di grande delicatezza, anche nelle relazioni e nelle comunicazioni, ma detto questo la notizia porta scompiglio. Perché confesso che nel mondo sindacale e con molti banchieri pensavamo a un 2020 preparatorio, di riflessione e di pre-cantiere mentre questa cosa stravolge tutto.
Messina ha sparigliato le carte.
Carlo Messina è un manager sincero e corretto con il sindacato, uno che ti risponde al telefono e accoglie gli inviti alle nostre iniziative. Qui però come dicevo, massima prudenza sul quel che accade e come abbiamo condiviso con i colleghi delle altre sigle di settore, mai come in questo caso più che positivo o negativo, guarderemo passo a passo ai fatti. Per ora ci sono già parole precise e che la Banca sa che vogliamo sentire, come nuova occupazione a fronte delle uscite volontarie, ma le proporzioni e i numeri impongono una super attenzione a tutti i temi, penso già alla mobilità per esempio. E immaginate come sarebbero questi processi senza un quadro di riferimento e uno strumento come il CCNL appena rinnovato! Perciò ripeto, vediamo cosa accade davvero, ma io la sfida e la provocazione a Messina e a Banca Intesa sarei tentato di lanciarla subito.
Quale?
Inserire sin da subito un membro del CdA espressione dei lavoratori. Come avverrà dal 1° aprile nel Gruppo Banco Bpm, secondo gli accordi del 2016. Si badi bene, non un componente di CdA di estrazione sindacale, ma un rappresentante di espressione dell’arteria fondamentale che sono i lavoratori, che porti ed esprima costantemente quel punto di vista al tavolo di governo della banca.
Un rappresentante dei lavoratori come membro effettivo del CdA.
È il tema del lavoro e dello scenario che dicevamo prima, difficile da immaginare nei prossimi anni. Certamente avremo ancora riduzione di personale, ma nello stesso tempo la riqualificazione professionale diventa un benchmark essenziale, anche in base alle peculiarità del Paese. L’ho ricordato in Parlamento di recente, all’audizione per il caso Popolare di Bari. I dati dicono che l’Home Banking ha una diffusione crescente nelle grandi aree urbane sia a Sud che a Nord. Sono i piccoli centri e le aree rurali a non aggiornarsi, mentre abbiamo la desertificazione degli sportelli specie a Sud dove le masse circolanti sono molto più elevate che a nord, 1.000 comuni senza più filiali di banca e popolazione anziana con più danaro dei giovani. Uno scenario di rischio, figure o proposte non raccomandabili potrebbero prendere il posto lasciato vuoto. E poi parliamoci chiaro: le crisi bancarie di questi anni ci dimostrano che dove non c’era l’attaccamento dei dipendenti le storie sono finite diversamente, i lavoratori hanno fatto la differenza.
Sta dando consigli alla politica e ai banchieri?
A nessuno. È l’approccio globale di cui parlavamo prima. Seguire tutto contemporaneamente. Intesa può diventare una banca di sistema europeo, Ubi perde in un attimo il ruolo di potenziale predatore o salvatore, Bper diventa sostanzialmente inscalabile, Carlo Cimbri riceve un’opportunità straordinaria, Unicredit sembra sfilarsi dal gioco delle acquisizioni, Carige e Bari cercano di dare corpo ai rilanci, Montepaschi necessita di ingenti investimenti soprattutto per l’innovazione tecnologica per non sprecare il grande lavoro fatto, tutto mentre l’Europa sembra meno astiosa e pignola con i nostri dossier e la Germania certamente addomesticata da qualche suo problemuccio. Per cui che dire, al momento siamo qui a vedere che succede, un po’ come il titolo del celebre romanzo di Joseph Cronin, E le stelle stanno a guardare…
(Maurizio Delfino)