C’è l’intesa fra gli Stati membri, i governi e il parlamento europeo. E anche se necessita di un’altra approvazione formale, che in teoria potrebbe essere foriera di cambiamenti, il New Pact on Migration and Asylum definito dall’Unione Europea almeno sulla carta rappresenta una novità nella gestione degli arrivi di persone straniere nel Vecchio continente con barconi e mezzi di fortuna. Come tutte le leggi il Patto poi va testato sul campo, verificato alla prova dei fatti. L’intesa, nei confronti della quale l’Ungheria continua a esprimere la sua contrarietà, si basa su cinque pilastri: prevede controlli e accertamenti sugli stranieri in arrivo, le procedure di asilo distinguendo tra procedura ordinaria e accelerata, il sistema di solidarietà obbligatoria per cui i Paesi Ue accettano di accogliere dei migranti oppure pagano un contributo o finanziano mezzi e procedure di accoglienza dei Paesi sotto pressione, individua nuove norme in casi di crisi per arrivi massicci, aggiorna le regole delle banche dati con le prove biometriche raccolte durante gli screening delle persone che chiedono asilo.



Dalla Commissione Ue, in particolare dalla commissaria agli Affari Interni Ylva Johansson, arrivano commenti entusiastici sul risultato politico raggiunto, ma prima di dire che si tratta di un accordo storico, spiega Mauro Indelicato giornalista de Il Giornale e di InsideOver, occorre vedere come funzionerà alla prova dei fatti: l’Italia potrebbe beneficiarne, ma bisognerà vedere se i meccanismi ideati dal legislatore europeo funzioneranno.



Consiglio e parlamento europeo hanno trovato l’accordo per un nuovo Patto sull’immigrazione. È un testo definitivo? Si tratta davvero di un’intesa storica come viene sbandierata?

Il termine “storico” l’ho sentito personalmente pronunciare e usare tante volte negli ultimi anni. E, puntualmente, poi di cambiamenti storici non ne sono stati registrati. Quindi credo occorra essere molto prudenti, almeno nell’immediato. Anche perché l’intesa delle scorse ore altro non è che un accordo di massima: la palla passa adesso a Consiglio europeo ed europarlamento e lì tutto potrebbe essere messo in discussione, occorre ancora un’approvazione formale che avverrà solo nelle prossime settimane e nei prossimi mesi.



Chi sono i protagonisti di questo accordo, quali Paesi si sono spesi di più per mettere a punto il testo? Resta da valutare la contrarietà dell’Ungheria che ha annunciato di non voler lasciare entrare nessuno: un ostacolo che può rendere difficile l’attuazione del Patto?

C’è tutto sommato un fatto politico importante in questa vicenda e riguarda una certa sinergia che si è creata tra alcuni degli Stati membri più importanti, a partire da Italia, Francia e Germania. A cui occorre senza dubbio aggiungere la Spagna, il cui premier Sánchez aveva un forte interesse politico a far registrare l’accordo negli ultimi giorni della presidenza di turno di Madrid. Ma, come detto, adesso bisogna aspettare l’evoluzione dell’iter il prossimo anno, durante la presidenza di turno del Belgio. Un semestre delicato che precederà sia le elezioni europee che il passaggio di consegne all’Ungheria per la presidenza di turno. E Budapest senza dubbio, proprio per il ruolo che andrà ad assumere nel secondo semestre del 2024, farà valere molto le proprie posizioni. Orbán, anche se rimasto isolato in Europa, manterrà una linea nettamente contraria all’accordo.

Quali sono i cinque pilastri sui cui si fonda l’accordo e qual è la novità sostanziale rispetto al precedente approccio della Ue al problema?

Complessivamente, si può dire che la politica di gestione dell’immigrazione da parte europea sarà vocata a una solidarietà interna esprimibile sia facendosi carico di migranti sbarcati in altri Paesi e sia, per chi non vorrà accogliere le persone approdate irregolarmente in territorio comunitario, sotto il profilo finanziario. Poi c’è la questione relativa agli screening pre-ingresso e alla possibilità di bloccare alle frontiere esterne dell’Ue i migranti che non soddisfano determinati requisiti. Occorre poi sottolineare le politiche relative ai rimpatri e infine l’instaurazione di procedure comuni per concedere o revocare la protezione internazionale.

Come l’Italia, da sempre il Paese più sotto pressione sul tema del flusso dei migranti, beneficerà di queste nuove regole: cosa vogliono dire praticamente per noi?

Roma potrebbe beneficiare di una maggiore solidarietà nell’accoglienza e nella gestione delle proprie frontiere. Almeno però sotto il profilo teorico. A livello pratico il discorso è ovviamente tutto da vedere.

Amnesty sostiene che l’intesa fa arretrare la legislazione europea di decenni, ponendo l’accento sul possibile aumento delle detenzioni alle frontiere. Ci sono degli aspetti del provvedimento ancora da chiarire?

Amnesty ha lanciato dubbi proprio sul concreto aiuto a Italia, Spagna e Grecia, ossia i Paesi più esposti alla pressione delle rotte migratorie del Mediterraneo. Secondo l’associazione non cambierà molto e, al contrario, si assisterà a una situazione in cui molti Paesi Ue semplicemente pagheranno per rafforzare le frontiere esterne e non accoglieranno invece i migranti sbarcati.

Basta questo provvedimento per sistemare il dossier immigrazione o adesso bisogna muoversi su altri fronti?

Questo provvedimento semplicemente interviene su quello che accade nell’ultima tappa dei viaggi della speranza e quindi nei chilometri di mare che separano l’Africa dalle nostre coste. Ma occorre intervenire anche su tutte le altre tappe, puntando a una decisa lotta contro i trafficanti da affidare anche all’intelligence, così come bisognerebbe agire sotto il profilo politico con i Paesi di origine dei migranti.

(Paolo Rossetti)

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