Sarà che gli anni passano, sarà che ci sentiamo tutti ipernutriti, sarà che invece c’è qualcosa di subdolo che penetra la nostra vita, in ogni caso il pranzo abbondante, che spesso coincide con quello del Natale è diventato anacronistico. Anzi, un vero e proprio disagio.
Ed è un peccato, perché qualche diavolaccio certamente era riuscito a spostare l’attenzione dalla nascita di Gesù, arrivando persino al compimento dei giorni nostri con la più idiota delle idiozie che è la “festa delle luci” che si celebra nelle scuole per uno spirito di eguaglianza. Ma ora c’è chi dice no.
Basta con il menu di tante portate, basta col disagio di una forma che significa far bella figura (non stare bene, attenzione) se si mangia tanto. E basta anche relegare qualcuno in cucina a servire tutti gli altri e a stare tanto tempo a tavola, toccando i vertici della noia e del cazzeggio da bar sport. Basta!
In Italia ereditiamo il “menu alla russa” quello delle portate una dopo l’altra: dall’antipasto al dolce, passando per i primi e i secondi che a Natale e Capodanno sono sempre al plurale. E si continua in questa forma, incuranti che di fianco a noi c’è magari chi soffre di questa forma perché ha maturato patologie legate proprio a un’alimentazione sbagliata, omologata, disordinata o esagerata.
Io provo imbarazzo per la forma quando è pensata solo per fare specchio a se stessi. E non – viceversa – per far star bene gli altri. Ora, una maniera c’è ed è il “menu alla francese”: tutti i piatti sul tavolo, dove ognuno si serve delle porzioni che desidera e insieme si prova a condividere magari un piatto di sostanza.
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E il resto del tempo? Già ormai ci siamo abituati a relegare il tempo da passare insieme facendo andare le mandibole, possibilmente obnubilati. Mai che si canti alla fine di un pranzo, che è un antica forma di ringraziamento, oppure che si ascolti qualcosa, che si stia di fronte al bello (ma qui bisogna tenere spenta la televisione).
Fare un pranzo insieme significa innanzitutto pensare a chi si ha di fronte. Più che specchiarsi in se stessi per non far figure, occorre specchiarsi in quel bambino che si è fatto compagnia all’uomo, per sempre. E i suoi frammenti possono essere anche in quel piatto, in quel bicchiere di vino, in quella tavola pensata per condividere una positività. Buon Natale!
P.S.: Magari si tornasse a fare le paste ripiene con gli avanzi del piatto di sostanza del giorno di Natale.