Un cenone di 24 portate e poi lo zampone e le lenticchie dopo il brindisi di mezzanotte. Ci sono tutti i classici dal voul au vent ai gamberetti in salsa rosa; dal salmone alle pennette agli scampi e l’ultima portata dopo i secondi sono i peperoni con la bagnacauda, un vero e proprio digestivo (!?). E’ uno dei tanti cenoni di Capodanno pubblicizzati sui giornali alla modica cifra di 60 euro. Ma ha ancora senso tutto questo? Oppure siamo rimasti fermi al dopoguerra, ai modelli del mangiare tanto per esorcizzare la fame, ma se oggi c’è una guerra è quella contro il disordine che noi stessi abbiamo creato in una società ipernutrita, grassa e senza tante idee. Il Cenone di Capodanno mette così in risalto altre contraddizioni. Il primo è lo spreco, giacché non tutti sono in grado di sopportare i cenoni di una volta. E davvero non ha senso tutta questa quantità. Il secondo è la solitudine, perché anziché proporre momenti di festa, si invita a stare a tavola per ore, masticando. Ed è una noia. Il terzo aspetto sono gli asparagi e le fragole, che sono la cartina di tornasole di tutti questi menu votati solo alla quantità, all’abbondanza, che infilano una serie di prodotti che nulla hanno a che vedere con la stagionalità.

Ed è una continua macedonia di involtini di asparagi (ma non crescono ad aprile?) o di fragole messe in tutti i modi (quelle che da noi arrivano a maggio). Ma la quantità fa rima con stupidità, perché non lascia spazio al gusto delle cose in quanto tale. E nei menù guai a citare un’insalata fresca (non porta soldi), mentre sarà sempre più difficile trovare un ristorante che cucina “alla carta”, permettendo a chi si reca a mangiare fuori di chiedere ciò che gli serve per non vivere un disagio. Un consiglio per Capodanno? Un piatto di sostanza e tutto il resto in tavola, affinché ognuno si serva di ciò che desidera, senza quelle maratone noiose e prive di senso. Piuttosto si ricominci a cantare a giocare, ad ascoltare insieme qualcosa che sia bello. E poi a mezzanotte, il botto non sia la violenza su uno spumante, ma si apra la migliore bottiglia che si ha in cantina. Abbiano bisogno di segni di affetto ben diversi dall’omologazione e dalla quantità, abbiano bisogno di tornare a usare cibo come comunicazione, non come ostentazione di uno status, piuttosto omologato. Il cenone è servito.