In una scuola del lecchese le maestre si sono rifiutate di sbucciare la mela ai bambini. E pare sia stato un gesto di ritorsione contro il mancato riconoscimento del pasto alle maestre stesse, anche se loro si sono giustificate dicendo che la mela a oltre venti bambini diventava un lavoraccio. I genitori hanno protestato e alla fine l’educazione è finita nella sindacalizzazione della mela.

E dire che bastava un poco di fantasia per educare i bambini alla soddisfazione dell’indipendenza a sbucciarsele da soli. Ma oggi assistiamo alla parcellizzazione delle responsabilità, che ha sepolto la moralità. Nel libro “l’Angelo dello shaker”, dedicato ad Angelo Zola fondatore dell’Associazione barman, abbiamo raccolto un episodio emblematico, di quando al Principi di Savoia di Milano il personale fece il primo sciopero. E Angelo andò in crisi, perché non gli sembrava vero, e giusto, che i clienti dovessero trasportarsi le valigie in camera. Era una faccenda che cozzava con l’amore al proprio lavoro, con la moralità appunto.

La vicenda della mela sbucciata è della stessa natura: cosa potranno mai insegnare, come potranno educare l’altro se prima della persona viene il ruolo, la sua codifica, i suoi diritti, giusti o sbagliati che siano? Che brutta pagina questa storia della mela.

Una bella pagina, invece, l’ha scritta lo chef Davide Oldani, che a Cornaredo gestisce il D’O. Nei giorni scorsi ha presentato il suo libro “La mia cucina pop. L’arte di caramellare i sogni” (ed. Rizzoli) e a un certo punto dice: «Pulivo i ricci da Marchesi, ma il segreto l’ho rubato in merceria». E del rapporto con la mamma Luigia racconta: «Da lei ho imparato la coerenza e la costanza: tutte le mattine mi convinceva ad alzarmi stanco morto della sera prima. “Oggi vai, domani ci penserai. Segnas!” (fatti il segno della croce in dialetto milanese) era il suo buon augurio». Che sia in quel “Segnas” l’origine del rispetto, della moralità?