Il vino nel brodo. Chi mette ancora il vino nel brodo? Marco Simi, un signore che ha speso la vita per il volontariato è partito dal vino nel brodo per dipanare un suo libro che parla di casa e di vita. Sarà una delle tante perle del Meeting di Rimini, anche se ogni giorno leggeremo i resoconti incentrati sulle “virgole” dei ministri, e raramente sentiremo il sapore del vino nel brodo: metafora per dire che l’aria di questa festa desta più conoscenza guardando la gente che vive. Gente che ha letto il libro di Enzo Piccinini, un medico figlio di contadini che ha dato tutto per i suoi amici.
Né lui e né Marco Simi ci saranno, ma benché scomparsi da uno e due lustri saranno presenti come non mai, giacché gli amici ricordano, dell’uno e dell’altro, il vino nel brodo. Ossia istanti impregnati di febbre di vita; la stessa febbre che lo scorso anno commosse migliaia di persone in visita alla mostra dei carcerati di Padova. Quest’anno sono tornati col Bar “Dai Carcerati” e faranno assaggiare la Noce del Santo, ma anche i biscotti che la cooperativa Rebus realizza con loro all’interno del carcere. E qui si potrà bere la birra dei monaci della Cascinazza, l’unica birra monastica italiana, in vendita alla cooperativa Arti e Mestieri, di fianco alla grande libreria del Meeting.
Ieri con gli amici di Papillon abbiamo presentato un libro (Adesso 365 giorni da vivere con gusto) e una mostra per accendere la lampadina su un fatto che ci interpella almeno tre volte al giorno: il gusto. Un elemento di cui ce ne si può accorgere o meno: indifferenza o stupore. Ma “Solo lo stupore conosce”, evocava anni fa un’edizione del Meeting. E non è l’indifferenza che fa scoprire, anche quella di chi racconterà solo le virgole, senza avvertire l’aria di quello che, visto da Rimini, sembra un popolo: giovani e anziani, vip e operai che sono arrivati colpiti soltanto dal vino nel brodo.
Ossia una scintilla che chiamano “incontro”. Ma chi ci ha introdotti alla conoscenza? La mamma. E lo ha fatto alimentandoci, con tenerezza e bisogna, così come fa ogni volta che, portando in tavola i prodotti che arrivano dalle stagioni, compie una straordinaria operazione culturale: ci dice che siamo al centro dell’universo, destinatari di un dono che dalla terra ci porta il gusto. Sono temi affrontati in questi trent’anni di Meeting dove anche il gusto è stato fattore di conoscenza. Nel 1993 ne parlammo con Leo Moulin, lo storico del Medioevo, poi nel 2003 con il sociologo Paul Aries che disse: “Cinquant’anni fa le coppie a tavola mangiavano le stesse cose; oggi ordinano cose diverse”. E Alessandro Meluzzi, lo scorso anno, fece un appello: “Tovaglie non tovagliette: perché la tovaglia unisce, abbraccia, mentre la tovaglietta divide”.
Già, il gusto, il mangiare e bere come elemento di unità tra per persone (“cum panis” è la radice di compagnia). Ma perché esiste il gusto – mi chiese qui al Meeting l’astrofisico Bersanelli – “Se il problema dell’uomo è alimentarsi, che bisogno c’era di dargli cibi diversi e tra i prodotti tante varietà?” Che logica strana deve avere avuto il Creatore: dentro un fatto quasi meccanico ecco un punto di fuga: il gusto, che è come il piacere nell’atto di procreare. Insieme – a ben pensarci – rappresentano una cifra per riconoscerLo.
Appiattire il gusto, ma anche sublimarlo (si chiama edonismo) son le due facce che azzerano la conoscenza. Cercare di conoscerlo, invece, sarà un avvenimento.