Con l’uscita della Guida Michelin, l’Italia del gusto è stata colpita ancora una volta dallo sciovinismo francese. Ancora una mortificazione, dritta dritta alla nostra cucina, dopo la presentazione di ieri a Milano della Rossa 2011 che non annovera nuovi “tre stelle”: né Massimo Bottura (ai vertici di altre guide), né Gianfranco Vissani (tutt’altro che una stella cadente). L’Italia deve restare seconda, possibilmente terza di fronte alla grandeur. In Francia il cibo è ancora di più di una faccenda d’onore; non si capirebbe altrimenti la scelta in salsa dorotea di nominare la cucina francese patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO, proprio in contemporanea col riconoscimento della Dieta Mediterranea. Come a dire: l’olio fa bene, ma vinca la cucina del burro.

Il cibo, tuttavia, è come il calcio: crea tifoserie e così facendo alimenta il suo mito. Dunque, da ieri hanno tre stelle ben solide e confermate Il Sorriso di Soriso, Dal Pescatore a Canneto Sull’Oglio, Da Vittorio a Brusaporto, La Pergola dell’Hotel Hilton di Roma, Le Calandre di Rubano e Pinchiorri a Firenze. Ci sono poi una trentina di promozioni, che fanno piovere per la prima volta la stella in diversi locali del Piemonte, tra Langhe e Roero e solo due nuovi ristoranti con due stelle. Curioso il fatto che fra i premiati ci siano soprattutto cuochi stranieri: d’obbligo a Mondovi premiare il francese Marc Lantieri, o innalzare a prima regione d’Italia Bolzano.

Non passano poi inosservate le bocciature. La più eclatante – e inspiegabile – è sicuramente quella del Pinocchio di Borgomanero, che deteneva la stella dal 1974. Forse il più longevo ristorante ad avere quel simbolo. Ma Piero Bertinotti deve essersi messo in cattiva luce per troppa italianità, visto che nel suo ristorante nulla è cambiato e tutte le altre guide ne confermano l’eccellenza. Per la Michelin somiglia quasi a un’occasione per punire un simbolo dell’Italia, giacché proprio il Pinocchio nell’aprile di quest’anno ha cucinato a Vinitaly per il presidente Giorgio Napolitano che a un tratto, davanti alla sontuosità dei suoi agnolotti, ha chiesto un vino rosso, un Dolcetto di Dogliani per la precisione, in omaggio a un suo illustre predecessore.
 

Ma Bertinotti, un autodidatta cresciuto alla scuola di Gualtiero Marchesi, cucinò anche per i 100 anni della Fiat, chiamato dall’Avvocato Agnelli e in svariate occasioni dove si cercava un simbolo dell’italianità autentica. Luigi Veronelli, nel 1973, in tv, sfidò la Michelin: “Non danno la stella al Pinocchio perché il tapulone è ritenuto un piatto volgare”. E invece la stella arrivò, l’anno dopo e per 36 anni consecutivi, a premiare la cucina di una famiglia solida, col sorriso, che ha un solo rammarico: “Questo è un mestiere – ci ha confidato Bertinotti – dove se succede qualcosa a un tuo familiare, devi prima finire il servizio”.

Ironia della sorte, lo chef del Pinocchio è atteso lunedì sera per cucinare alla “cena delle stelle” sul Lago d’Orta, con un sorridente Fausto Arrighi, responsabile della guida Michelin Italia, che ha tolto da tempo i panni dell’anonimato per partecipare volentieri a feste e convegni di cuochi, dove il boia pranza con l’impiccato, sui lidi di Vico Equense o altrove, secondo la migliore tradizione dell’inciucio italiano. Nessuno però ha avvertito i Bertinotti dell’amara sorpresa di ieri. “Vabbè, ma la stella vale fino al 2010, quindi io andrò a cucinare, e a testa alta – dice sereno nel suo ristorante festoso che ti accoglie all’ingresso – con una piccola biblioteca di guide rosse di antiche edizioni”. Ma non ha dispiacere? “Dispiacere no, perché la clientela ti premia comunque quando lavori bene; amarezza un po’, per come succedono queste cose. Io comunque la stella continuo ad averla”. Ma come? “Si chiama Luisa: è mia moglie, e sta con me in cucina da una vita. Cos’altro?”. E questa è l’Italia della grande cucina familiare e del territorio!