I giochi sembravano fatti, ma vatti a fidare delle vigilie in cui tutto sembra risolto. Soprattutto se si ha in squadra un Silvio Berlusconi deciso a giocare il ruolo dell’azionista di maggioranza delle coalizioni politiche quando i numeri dicono ormai il contrario. L’elezione di Ignazio La Russa – nove legislature alle spalle, ex ministro e fondatore di FdI, fino a ieri uomo delle trattative di Giorgia Meloni – allo scranno più alto di Palazzo Madama senza i voti di Forza Italia, spiazza le previsioni e consegna un inizio di legislatura subito in salita per la maggioranza di centrodestra.
Se poi la giornata si conclude con Forza Italia che minaccia di andare da sola alle consultazioni del capo dello Stato, mandando in pezzi l’unità della coalizione e costringendo Salvini e Meloni a passare una notte tra telefonino e pallottoliere, il problema è serio.
L’enigma dei numeri è presto sciolto: i 116 voti andati a La Russa sono costituiti dal pacchetto di FdI più Lega, compatti, e da altri voti di varia provenienza: Azione-Iv, forse qualche M5s o gruppo misto, più qualche possibile voto dei senatori a vita e due schede (non si sa se bianche o per Calderoli) della stessa FI. Qualcuno dice che il ruolo più velenoso lo hanno giocato i senatori di Base riformista, la corrente Pd di Guerini e Franceschini decimata dalle candidature di Letta, al quale è stato mandato un chiaro segnale politico. Pare però che dietro questo appoggio “esterno” dei senatori Pd ci possa essere lo zampino del Quirinale. Del resto il soccorso alla maggioranza è stato scientifico. Sono stati sostituiti esattamente i senatori mancanti di Forza Italia. Un chiaro segnale a Berlusconi per ricordargli che i suoi voti non sono decisivi e un avvertimento alla futura premier su quanto sia importante l’amicizia del capo dello Stato.
Il breve video con lo screzio in Senato tra Berlusconi e La Russa contiene la spiegazione della giornata e non lascia dubbi. Ieri mattina è andata in scena la vendetta dell’anziano leader di FI per non avere ottenuto, in sede di trattativa, quello che voleva: un posto per la Ronzulli ma soprattutto i ministeri di peso che interessano a Berlusconi per ragioni personali e imprenditoriali ampiamente note. Alcune zoomate rubate da La7 mostrano anche un foglio di appunti con una sfilza di richieste tanto importanti quanto irrealistiche.
Ma più che la dinamica del voto, sono le conseguenze politiche a minare l’immagine della maggioranza che si appresta a sostenere il governo Meloni. Con il suo sgambetto, oltre a esibire scarsa lucidità politica, Berlusconi ha permesso che il “suo” presidente del Senato fosse eletto da una maggioranza virtualmente alternativa a quella politica di centrodestra che sosterrà il governo. Non è stato difficile, nel pomeriggio, raccogliere i segni di disagio di molti esponenti forzisti.
Non solo. L’elezione pasticciata di La Russa ha subito avuto l’effetto di proiettare un alone di incertezza su quella del presidente della Camera. Ieri a Montecitorio sono state archiviate senza esito positivo le votazioni a maggioranza qualificata (due terzi) per arrivare a quella che oggi dovrebbe eleggere, a maggioranza assoluta, il nuovo presidente. Ma i conti non tornano, perché senza i voti di FI alla Camera (45) il centrodestra non può eleggere il presidente. E si scopre che Riccardo Molinari (Lega), fino a ieri presidente in pectore, dovrà comparire davanti ai giudici penali di Torino il 24 novembre per rispondere dell’accusa di avere modificato le liste elettorali di Moncalieri. Fatti che risalgono al 2020, una bazzecola, probabilmente, ma tanto è bastato per mettere a rischio il nome del capogruppo leghista uscente, precludendogli i voti dell’opposizione se quelli di FI dovessero mancare completamente o in parte. Ciò ha indotto Matteo Salvini a candidare Lorenzo Fontana, senza obiezioni da parte di Meloni e del resto del centrodestra nonostante il suo profilo più spiccatamente identitario. Si vedrà.
Ma la ferita berlusconiana resta. Ieri sera il leader del Carroccio appariva ancor più determinato della Meloni nel dichiarare “prive di fondamento” le notizie di un centrodestra diviso alle consultazioni, mentre la premier in pectore si limitava ad un “ne parleremo”. Oggi si saprà il risultato di un’altra notte di paziente cucitura per rimediare alla ripicca di Berlusconi.
Un bilancio? Provvisorio, ma chiaro. Giorgia Meloni vince la sua prima prova di forza, ma solo grazie a voti dell’opposizione; Giorgetti, dopo la candidatura Fontana, entra “definitivamente” nella squadra di governo; Berlusconi spacca FI e mina l’unità della coalizione; Il Pd presenta un suo candidato alla presidenza della Camera per non offrire alibi al centrodestra. Un inizio, per l’irruente leader di FdI, decisamente in salita.
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