Nei giorni scorsi si è parlato molto della nota della Casa Bianca (accompagnata dal tweet di rito del presidente Trump) che dichiarava di voler terminare la presenza statunitense in Siria. In effetti, visto l’astio storico tra curdi, che gli americani hanno armato contro l’Isis, e turchi, il rischio di uno scontro era reale. Il conflitto tra curdi e turchi è scongiurato dalla presenza di circa mille soldati americani nel nord della Siria che creano una zona cuscinetto tra le milizie di Erdogan e l’esercito curdo. Erdogan, alla notizia dell’abbandono del campo da parte americana, ha detto apertamente di voler riconquistare l’area controllata dai curdi, e di volerla utilizzare per spostarci i profughi siriani presenti in Turchia. Ma ieri mattina Trump ha ridimensionato il “ritiro” delle truppe dalla zona cuscinetto, parlando solo di un “ricollocamento” di 50-100 soldati.
Non è la prima volta che Trump fa un dietrofront di questo tipo. Ne abbiamo parlato con Fausto Biloslavo, inviato di guerra del Giornale con 35 anni di esperienza sul campo, per capire come sta evolvendo la situazione in Siria dove il conflitto, che ha insanguinato il paese dal 2011, sta finendo la sua parte calda per lasciare spazio a una nuova fase, si spera meno sanguinosa, che sarà caratterizzata dalle dinamiche di spartizione tra i vincitori.
Trump ha cambiato idea sul ritiro delle truppe in Siria. Non è la prima volta che annuncia un ritiro e poi rimangia la parola, perché?
Ormai la Casa Bianca ci ha abituato a una politica via Twitter, dove annunciò anche il lancio di missili sulla Siria (aprile 2018, ndr). Mi sembra che Trump lanci queste provocazioni anche per sondare il terreno, ma in questo caso parte del messaggio è arrivato, perché i turchi lo hanno interpretato come un via libera, anche se un via libera non era.
Infatti Trump ha fatto capire che la Turchia non potrà “oltrepassare il limite”, ovvero attaccare i curdi. Curdi però che valutano altre alleanze, ad esempio con Assad. Riusciranno a trovare altri sostegni che non siano gli Usa?
I curdi non si sentiranno di certo tanto sicuri con un alleato come gli Usa, che ogni tanto annuncia di andarsene. Gli americani fanno da cuscinetto tra i curdi e i turchi in vari luoghi, ad esempio a Manbij, un crocevia di interessi ed etnie, attualmente in mano ai curdi ma coi turchi a due passi. È normale che i curdi, spaventati, si guardino intorno, magari chiedendo aiuto alla Russia, che ha una posizione chiara sulla Siria e ha fatto vincere la guerra ad Assad.
La posizione di Trump sulla Siria è diversa da quella di Obama?
Io speravo che fosse nettamente diversa, e che americani e russi sedessero intorno a un tavolo per mettere la parola fine a questo conflitto. Invece non è stato così e quindi non c’è stata grande discontinuità, se non per il fatto che la presenza militare nel nordest della Siria da parte americana ha portato alla sconfitta sul campo dello Stato islamico, non solo alla conquista di Raqqa ma anche di varie roccaforti fino all’ultima di Baghuz nello scorso marzo, a cui ho assistito. Non vuol dire che la minaccia sia finita, ma almeno dal punto di vista territoriale lo Stato islamico è stato sconfitto.
Perché l’Occidente ha abbandonato la partita della Siria?
Lasciando perdere l’Europa, che non ha una politica estera, i singoli Stati europei non si sono fatti coinvolgere, anche se c’erano dei soldati francesi e forse britannici nel nordest della Siria. Anche gli italiani sono presenti a Mosul, nell’ambito della coalizione internazionale contro il terrorismo in Iraq, ma non possono operare all’interno del confine siriano, neanche con dei droni. Gli unici che possono agire sono gli americani, ma il loro atteggiamento ondivago non ha portato a niente e ha lasciato spazio ai russi, che hanno riconquistato l’influenza su quest’area che avevano ai tempi dell’Urss. Un’influenza che nel frattempo avevano perso.
È la Russia l’attore militare con una maggiore presenza in Siria al momento?
La Russia ha sommato alla base navale di Tartus, che già aveva, una base aerea, consiglieri, truppe, artiglieria. Anche i russi avevano annunciato un ritiro ma è stato minimo. La Russia ha e manterrà una posizione militare e politica importante in Siria, che è ridiventata un tassello importante della sua penetrazione in Oriente, ora che Assad ha vinto.
Anche l’Iran ha sostenuto in vari modi Assad. Qual è la posizione di Teheran su un ingresso turco in Siria?
L’Iran faceva parte di una sorta di triangolo con Russia e Turchia per sistemare definitivamente il conflitto siriano, data anche la latitanza americana. Questo triangolo però ora è rimesso in discussione perché Teheran ha messo in chiaro di non volere un intervento turco in Siria.
Si può dire che questo conflitto stia finendo?
Il conflitto è in conclusione, ma dei lampi di guerra restano. I governativi sono avanzati ma non hanno riconquistato tutto il territorio, come ad esempio la città di Idlib. Bisogna ancora vedere come andrà a finire. E poi c’è il nodo turco curdo con la minaccia di invasione e la creazione di un corridoio di una trentina di km di profondità sul confine, cosa che però vorrebbe dire che i turchi conquistano tutte le principali città curde, nelle quali tra l’altro Assad vuole inviare i profughi siriani presenti in Turchia. Ci sono diversi nodi al pettine che probabilmente porteranno a deflagrazioni, seppur limitate a queste situazioni residuali.
Sembrano più che altro delle dinamiche di spartizione.
Si, ormai la spartizione è di fatto. I curdi non cederanno le armi nel nordest del paese, che è pur sempre il 25% del paese e una zona strategica importante, anche per la presenza dei pozzi petroliferi. Visto che il regime ha quasi riconquistato tutto il territorio, la spartizione è in atto da un po’, e penso si andrà verso la creazione di uno stato federale.
Anche perché i russi hanno già presentato il conto ad Assad per il loro sostegno, una cambiale da 3 miliardi di dollari.
I russi adesso sono interessati a far pagare alla comunità internazionale e ai paesi arabi che hanno appoggiato la ribellione armata contro Assad il costo della ricostruzione, sulla quale vorranno avere voce in capitolo. Il paese in qualche modo andrà ricostruito, anche solo per far tornare in patria i profughi siriani in Turchia e in Europa. Parliamo di milioni di persone.
Qual è la situazione in Siria al termine di questa guerra civile, iniziata nel lontano 2011?
Io penso che purtroppo una guerra come questa abbia segnato un solco incolmabile, una cicatrice che difficilmente si chiuderà in modo definitivo. Le lacerazioni ormai sono tali che forse solo una nuova generazione politica, di cui Assad non farà parte, potrà ricostituire un domani una nuova Siria. Altrimenti si ricostruirà sopra le macerie, ma le divisioni, dopo la valanga di sangue tra Isis e massacri di civili, segneranno per sempre la Siria, che non sarà mai più come prima.
(Lucio Valentini)