Inventing Anna è la seconda serie tv creata da Shonda Rhimes per Netflix e dopo il successo di Bridgerton (a proposito, il 25 marzo è in arrivo la seconda stagione) ha raccolto un nuovo straordinario risultato di pubblico. Ma anche tante polemiche e critiche.
Intanto, a molti non è piaciuto che la ricostruzione delle vicende giudiziarie che hanno portato la giovanissima Anna Sorokin in carcere dopo una serie di truffe ai danni di banche, alberghi di lusso, società di jet privati e vip di New York sia esplicitamente troppo a favore della protagonista, nonostante la pesante sentenza di condanna da parte della giustizia americana. Ma ha fatto storcere il naso a molti anche la scelta di raccontare una storia vera riempiendola di cose completamente inventate.
In realtà la serie è bella e il successo di pubblico meritato. L’interpretazione di Anna della giovane attrice Julia Garner – che abbiamo già apprezzato in Ozark – è superlativa. La squadra di vecchi giornalisti che aiuta la giornalista Vivian Kent a scrivere il suo articolo è una storia nella storia. E non si può non constatare che la rappresentazione del mondo della moda e della comunità di ricconi che viene messa alla berlina dall’abile truffatrice tedesca di origini russe risultata realistica e divertente.
La storia di Anna Delvey (il nome che aveva scelto la Sorokin per realizzare la sua truffa), il suo arresto e il processo che poi ne è seguito ha riempito per mesi le cronache giudiziarie americane. Molti si sono chiesti come sia potuto succedere che una ragazzina sbarcata a New York senza un soldo e senza un posto dove dormire abbia potuto prendere in giro per mesi banche del calibro di Fortress, società di consulenza finanziaria, agenzie specializzate in immobili di lusso, direttori di alberghi a cinque stelle, e un numero infinito di persone ricche, influencer, startupper e ovviamente anche molti comuni mortali. La prima a porsi questa domanda è stata la giornalista Jessica Pressler del New York Magazine che dopo essere riuscita a intervistare in carcere la vera Anna e smontato a una a una tutte le sue bugie, ha ricostruito l’intera vicenda in un famoso articolo intitolato “Come Anna Delvey ha ingannato la gente di New York”. Il testo rappresenta di fatto la sceneggiatura su cui si basa la serie tv e a cui ha contribuito la stessa giornalista.
Inventing Anna parte proprio dallo scontro che deve sostenere Vivian Kent – un nome di fantasia dato alla Pressler – con i capi della redazione per ottenere il permesso di svolgere le indagini necessarie a scrivere sulla vicenda. Vivian ripercorre così gli episodi più importanti della truffa, sia parlando con Anna, sia andando a intervistare gli altri protagonisti vittime del raggiro. Va in missione in Germania alla ricerca della famiglia di origine. Si interroga su come tante persone avessero potuto credere alle innumerevoli bugie della ragazza, senza mai un sospetto, un dubbio, concedendole l’ampio credito di cui ha goduto per quasi due anni. Vivian si appassiona alla vicenda e più va avanti nella ricostruzione più comincia apertamente a parteggiare per Anna. Non si ferma alla cronaca e cerca i motivi di fondo che possono averla spinta a comportarsi così. La sua tesi è che Anna sia stata così convincente proprio perché era la prima a credere veramente alle storie che si inventava e ai progetti – inesistenti – di cui parlava con entusiasmo.
In effetti il tentativo di giustificare in qualche modo quella che è stata una vera e propria frode appare una forzatura eccessiva. In fin dei conti tutti i protagonisti della vicenda – pur rimettendoci personalmente dei soldi e soprattutto la faccia – si fermano appena in tempo e sono essi stessi increduli per aver dato tanto credito a una storia inventata di sana pianta e che a ogni minima verifica faceva acqua da tutte le parti.
Resta il fatto che di questi tempi ogni cosa divide più di quello che dovrebbe. C’è sempre il sospetto che dietro ogni storia ci siano più verità. Che ogni giudizio morale sia sospeso in attesa di capire se la realtà sia veramente quella o solo il frutto di apparenze. Il tutto condito dal ruolo sempre più dominante dei social media, della legittima volontà di creare di se stessi una versione sempre positiva, felice, di successo. È tutto ciò porta ad annullare la parte reale di ciascun di noi. Se queste sono le premesse del Metaverso possiamo essere abbastanza sicuri che il futuro ci riserverà problemi molto seri e di difficile soluzione.
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