«Questo inverno demografico è grave; per favore, state attenti! È gravissimo». Sembra di ieri l’appello rivolto dal Santo Padre ai membri della Federazione delle Associazioni familiari cattoliche in Europa; sebbene in realtà sia passato quasi un anno, non è la prima volta che Francesco parla della crisi demografica europea, con particolare attenzione a quella italiana.
Il fenomeno ha radici molto profonde e prosegue imperterrito da decenni; si è passati dalla generazione del baby boom ai giorni nostri, con un crollo del tasso di fertilità da 2,70 figli per donna (1964) a 1,20 (dati Ocse aggiornati al 2020). In particolare, dal 1977 il valore è sceso definitivamente sotto i due figli per donna (1,97). È bene ricordare che il tasso di fertilità è un valore che misura se la popolazione è in crescita (maggiore di 2), in diminuzione (minore di 2) o se c’è una perfetta sostituzione tra le generazioni (uguale a 2).
Le ricadute del fenomeno sono innumerevoli, soprattutto tenuto conto che in Italia, a fronte del fatto che si fanno sempre meno figli, c’è un tasso di invecchiamento che diventa sempre più alto: il tutto si traduce in una popolazione composta da meno giovani e più anziani. L’aumento della longevità non è e non può essere considerato come una condizione sfavorevole per una nazione, al contrario vivere più anni non può che essere ritenuto, ragionevolmente, un fenomeno positivo. Gli ultimi dati indicano però che per ogni bambino in Italia si contano 5,4 anziani (dati Plasmon – Progetto Adamo).
È d’altronde vero che una popolazione dove sono presenti inverno demografico e aumento della longevità genera delle conseguenze gravi a cui è necessario porre rimedio: economicamente, una delle principali (ma non la sola) riguarda la produzione di ricchezza e la sostenibilità del sistema pensionistico.
Con l’aumento degli anziani ci saranno più pensionati a cui il sistema previdenziale dovrà provvedere, gravando sulla fascia dei lavoratori, che si troveranno così con meno reddito disponibile: l’aumento della spesa previdenziale appesantirà sempre più una fascia della popolazione in costante riduzione. Questo a sua volta incide sulla possibilità delle generazioni più giovani di essere autonome e di essere in grado, economicamente, di formare una famiglia provvedendo al mantenimento dei figli, che comportano un costo non indifferente.
Graficamente si potrebbe riassumere quanto detto con l’immagine di una piramide con una base molto piccola (i lavoratori appunto) e una punta molto più grande della base (gli anziani). Diventa evidente che una piccola parte della popolazione non può farsi carico di quella più ampia riuscendo al tempo stesso ad avere un tenore di vita adeguato.
Al tempo stesso il calo demografico si traduce in meno produzione di ricchezza, dovuta alla diminuzione della forza lavoro: si pensa che il fenomeno migratorio possa essere una soluzione a questo problema. Ciò è in parte vero, ma questo non risolve in modo sistemico l’inverno demografico: se infatti la prima generazione di migranti porta un contributo in termini di natalità maggiore degli italiani già residenti, la seconda generazione incontra gli stessi problemi di tutti.
Una seconda soluzione al problema lavorativo è l’automatizzazione delle fabbriche e dei processi produttivi (come succede in Giappone), ma anche questo non aiuta a riprendersi dal declino demografico.
Anche il tema dei servizi, in particolare quelli legati alla sanità, avrà delle ripercussioni gravi: meno medici e infermieri dovranno curare un numero molto maggiore di persone anziane bisognose di cure più o meno specifiche che rispondano a malanni dovuti all’età o di maggiore entità. Anche ipotizzando, irrealisticamente, un numero uguale e costante di sanitari, il costo della sanità aumenterà a causa dell’aumento degli anziani, sempre gravando sui pochi lavoratori.
Questa serie di fattori porta un ulteriore problema con sé: le giovani generazioni, schiacciate dal peso del sistema, troveranno (e in parte già trovano) conveniente andarsene dal Paese, aggravando ulteriormente le condizioni di chi rimane. In altre parole, il calo demografico «rischia di condurre nel tempo a un impoverimento economico e a una perdita di speranza nell’avvenire» (Amoris Laetitia n. 42, Francesco).
Queste sono solo alcune delle considerazioni e dei problemi che stanno in parte già scaturendo dall’unione di calo demografico e aumento della longevità. Pare ragionevole pensare che se il secondo elemento è una buona notizia, quello su cui bisogna lavorare è il primo.
Ci sono ulteriori elementi collegati al triste fenomeno della denatalità e che hanno portato a questa crisi, alcuni di natura economica e altri di natura morale, che verranno trattati in un prossimo articolo.
(1- continua)
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