La crisi demografica è uno dei fenomeni più gravi dei nostri tempi: riprendendo un precedente articolo, si cercherà di esporre brevemente alcuni elementi che influiscono su di essa.

In primo luogo, bisogna constatare l’impatto, a livello di costi, che un figlio porta con sé, pari a 640 euro al mese (dati Plasmon) o circa a 170.000 euro nei primi 18 anni (dati del Forum delle associazioni familiari), tra i quali le spese non secondarie legate ad asili nido e babysitter.



Statisticamente non è vero che la povertà causa il calo demografico, basti pensare che a livello mondiale molti Paesi poveri hanno un tasso di fertilità molto ampio e maggiore dell’indice di sostituzione (dati Ocse). Guardando all’Italia è però possibile dire che avere un figlio è di ostacolo, per vari motivi: in primis per motivi economici, i figli aumentano il rischio di cadere nella fascia di povertà assoluta (cfr. Forum Associazioni Familiari e patto per la natalità: quest’ultimo report è stato redatto prima del Covid, quindi non è influenzato dagli effetti economici post-pandemia). Secondariamente incide sulla vita delle mamme lavoratrici: per sostenere una famiglia con figli è necessario, in Italia, che entrambi i genitori siano portatori di reddito, e questo genera un paradosso. Da un lato, la maggior parte delle madri che si dimettono ha dovuto farlo per gestire i figli (dati del patto per la natalità), dall’altro per una madre in cerca di occupazione è impossibile trovare lavoro. Si crea quindi il cortocircuito per cui la donna è costretta a dimettersi per occuparsi dei figli e allo stesso tempo a cercare lavoro per sostenerne i costi, senza possibilità di trovarlo. Di fatto è costretta a scegliere se essere madre o lavoratrice.



Senza entrare più nel dettaglio della situazione lavorativa femminile, va ricordato che una maggiore occupazione femminile non incide negativamente sul tasso di fertilità. Questo è vero a livello europeo, ma falso in Italia: il calo demografico non è diretta conseguenza dell’aumento del lavoro femminile, ma piuttosto la forchetta che si crea in una rappresentazione grafica è dovuta alla mancanza di servizi che consentano a una madre di integrare famiglia e lavoro.

Se la novità politica più rilevante è quella dell’introduzione dell’assegno unico per figli per tutti i lavoratori, compresi gli autonomi, si è ancora lontani da una rivoluzione culturale necessaria. Viene infatti riconosciuta una somma lontana dalle effettive necessità familiari, che rimane compresa tra i 189,2 e i 54,1 euro, a seconda dell’Isee (dati del Ministero).



La vera rivoluzione economica e culturale sarebbe quella di introdurre il fattore famiglia copiando il modello francese, dove viene riconosciuta la soggettività della famiglia: è corretto ricordare che «il punto di partenza per un corretto e costruttivo rapporto tra la famiglia e la società è proprio il riconoscimento della soggettività e della priorità sociale della famiglia» (Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 214). Accennando sinteticamente a quello che succede in Francia, non viene tassato il soggetto (quindi la madre e il padre, entrambi con il proprio reddito), ma la famiglia con il suo reddito familiare complessivo, dove si tiene conto della presenza dei figli, che, incidendo sulle spese familiari, comportano una minore spesa fiscale.

Quello che è stato descritto è, in sintesi, una parte del problema demografico, che si intreccia evidentemente con questioni politiche ed economiche. Al tempo stesso non può sfuggire che c’è anche una questione morale, che non può essere taciuta e che, per motivi di spazio, ci si limiterà a citare.

Una delle principali questioni è legata al concetto esistenziale dell’uomo: guardando alla cultura odierna è facile notare come, nonostante il desiderio della maternità e della paternità ci sia (anche se trova gli ostacoli sopra citati), viene trasmessa l’idea che un figlio non è un dono ma piuttosto un diritto. Questa narrazione porta inevitabilmente delle conseguenze di carattere culturale; essendo «divenuta possibile in termini di principio la separazione tra fecondità e sessualità […] ne consegue che, all’inverso, la fecondità può naturalmente essere pensata senza sessualità. Sembrerà giusto, allora, non affidare più la procreazione dell’uomo alla occasionale passione del corpo, bensì pianificare e produrre l’uomo razionalmente. Questo processo, per cui gli uomini non vengono più generati e concepiti ma fatti, è nel frattempo in pieno svolgimento. Questo tuttavia significa allora che l’uomo non è più un dono ricevuto, ma un prodotto pianificato del nostro fare» (La vera Europa, identità e missione, J. Ratzinger – Benedetto XVI, Cantagalli 2021).

Un altro motivo di riflessione è certamente quello legato al concetto stesso di famiglia: se da una parte essa viene presentata come una vocazione, cioè come strada che dà senso alla vita, c’è una comunicazione contraria e “cattiva” della famiglia. Essa viene raccontata come una prigione, come qualcosa che toglie la libertà, dove questo termine viene snaturato riducendolo all’assenza di legami stabili, ed è anche presentata come la morte, la fine, il termine di ogni possibilità di vita vissuta, senza concederle alcun merito in termini di contributo positivo portato agli stessi componenti e alla comunità sociale.

Questa comunicazione non tiene conto del valore della famiglia sotto vari aspetti: «Nel vivere il matrimonio voi non vi donate qualche cosa o qualche attività, ma la vita intera. E il vostro amore è fecondo innanzitutto per voi stessi, perché desiderate e realizzate il bene l’uno dell’altro, sperimentando la gioia del ricevere e del dare. È fecondo poi nella procreazione, generosa e responsabile, dei figli, nella cura premurosa per essi e nell’educazione attenta e sapiente. È fecondo infine per la società, perché il vissuto familiari è la prima e insostituibile scuola delle virtù sociali, come il rispetto delle persone, la gratuità, la fiducia, la responsabilità, la solidarietà, la cooperazione» (Benedetto XVI, omelia, 3 giugno 2012, Milano).

Questa forte narrativa insiste inoltre nel presentare la famiglia come una società oscura, retaggio del passato, dove i componenti non sono felici e l’unica soluzione sembra quella di isolarsi o scappare: «Bisogna considerare il crescente pericolo rappresentato da un individualismo esasperato che snatura i legami familiari e finisce per considerare ogni componente della famiglia come un’isola, facendo prevalere, in certi casi, l’idea di un soggetto che si costruisce secondo i propri desideri assunti come un assoluto» (Amoris Laetitia n. 33, Francesco). Questa narrazione indebolisce la famiglia nelle sue fondamenta, ma «nessuno può pensare che indebolire la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio sia qualcosa che giova alla società» (Amoris Laetitia n. 52, Francesco). La rivoluzione sessuale e quella del gender, giusto per citarne due tra le più famose, non sono che alcuni dei punti più evidenti di una società che, ignorando il problema demografico, “dimentica” al tempo stesso cos’è l’uomo e il proprio desiderio di felicità, esaltando al contrario un’idea di libertà che, svincolata da legami, non può che condurre all’oblio della solitudine.

(2- fine)

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