Stefano Zecchi, studioso di estetica e della fenomenologia di Edmund Husserl, in una intervista a Specchio, ha parlato del valore che hanno le foto scattate con gli smartphone nella nostra società. “Il selfie è un modo veloce per spezzare il cerchio della solitudine, per condividere un sentimento e intensificare una relazione. Una forma di affettuoso dialogo”, ha svelato. L’effetto, però, spesso è opposto. “I milioni di clic con cui riprendiamo la nostra routine hanno un tratto paradossale, producono quell’isolamento che con la trasmissione dei messaggi vogliamo evitare”.
Per i giovani, tuttavia, sembra essere il mezzo di comunicazione più diffuso. “Si stabilisce un feedback all’interno di un gruppo. Però non si parla, non si elabora un pensiero. L’uso ossessivo delle immagini create dallo smartphone frantuma la percezione della nostra identità. Se un giorno non invio e non ricevo, mi deprimo, non ho riscontri. I ragazzi vivono così nel riflesso altrui, senza certezze identitarie. In un momento in cui la scuola e la famiglia sono sempre più deboli, la loro personalità non si struttura più a partire dalla consapevolezza di se stessi”, ha riflettuto l’esperto.
“Inviamo selfie per sentirci meno soli”, il parere di Stefano Zecchi
Il valore della fotografia odierna, dunque, è molto diversa da quella del passato. Un selfie, insomma, non è uno scatto su pellicola. “La fotografia prima era un modo di appropriarsi della storia. Era memoria. Adesso non ha più lo stesso potere di narrazione. Abbiamo perso la facoltà di tenere conto della dimensione storica. Viviamo in un eterno presente”, ha sottolineato lo studioso Stefano Zecchi.
Eppure, ai giovani questo meccanismo piace. “L’istantanea eccita l’istinto conquista. Ci sentiamo imprenditori di noi stessi. Ci vendiamo, si fa per dire, agli altri. Siamo tutti in piazza. Pubblicizziamo continuamente noi e il nostro corpo. Il grande successo degli influencer è dovuto alla nostra fragilità. Io esisto solo nelle immagini fotografiche ma non so scegliere taglio di capelli e abiti, qualcuno deve farlo per me”.