Io Capitano di Matteo Garrone è candidato Oscar 2024 come miglior film internazionale ma il New York Times lo stronca

Io Capitano di Matteo Garrone è uno dei cinque film candidati all’Oscar 2024 come Miglior Film Internazionale. La pellicola del regista italiano, già vincitore a Venezia con il Leone d’argento, racconta il viaggio terribile di due ragazzini, che devono affrontare le insidie del deserto, gli orrori dei centri di detenzione in Libia e i pericoli del mare, per raggiungere l’Europa, vista come una terra di opportunità e libertà.



Io Capitano è un film prodotto da Archimede con Rai Cinema e Tarantula, con Pathé, Logical Content Ventures con il supporto della DGCA- MiC, con la partecipazione di Canal+, Ciné+ in coproduzione con RTBF (Belgian Television), Voo-Be TV e Proximus. Nel cast del film troviamo gli attori Seydou Sarr (Premio Mastroianni a Venezia), Moustapha Fall e Ibrahima Gueye.



Questa sera, domenica 10 marzo, si terranno gli Oscar e a proposito del film Io Capitano, fanno discutere le considerazioni critiche apparse sul New York Times che non è stato benevolo con Garrone. “Racconta solo parte della storia”, si legge sul quotidiano americano di Richard Braude.

NYT contro Io Capitano, il film di Matteo Garrone candidato oscar: “L’Italia imprigiona chi merita di essere premiato”

E’ un laboratorio di idee antifasciste e antirazziste, non dovremmo perdere di vista il fatto che, a prescindere dalla vittoria o meno del film agli Oscar, l’Italia continua a imprigionare gente che meriterebbe invece di essere premiata”, spiega Braude. Come ricordavamo “Io Capitano” ha ricevuto la candidatura come miglior film internazionale ma secondo la recensione apparsa sul NYT non meriterebbe tutta questa considerazione, dal momento che non è riuscito ad andare in profondità come avrebbe dovuto.



Questo perché racconterebbe “un mondo più semplice di quello reale, perché evita di affrontare il ruolo dell’Europa nel rafforzamento dei suoi confini mentre la punizione dei capitani è coperta dai titoli di coda”. Perché “quel che succede dopo a gente come Seydou è l’arresto, l’interrogatorio, lunghi processi e nella maggior parte dei casi la prigione“, scrive Braude.