Per Dio siamo come il sole: stasera tramontiamo per riuscire domattina a (ri)sorgere. “Nascere non basta – scrisse Pablo Neruda –. È per rinascere che siamo nati. Ogni giorno”. Noi lo diciamo di Lui: “Cristo è il mio sole”; Lui, a noi: “T’amo come sei: bello come il sole”.
È una storia strana, un amore eterno, uno di quelli che affondano le radici nella notte dei tempi: “Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi e tutto era scritto nel tuo libro; i miei giorni erano fissati quando ancora non ne esisteva uno” (Sal 139,16). Potrà, dunque, un amore siffatto andare un giorno a consumarsi? “Credo la risurrezione della carne”, tra tutti gli articoli del Credo, è il più dissennato da professare: che, dopo morto, tornerò a vivere. Solo un Dio – convinto d’esserlo d’accettare il rischio dell’inchiodatura – avrebbe potuto osare tanto.
La morte è una trappola, la più felice delle trappole di Lucifero: per la sua accecante gelosia la morte è entrata nella storia tra Dio e l’uomo (cfr Sap 2,24). Intrappolarci nella paura della morte è la più evoluta delle sue versioni indiavolate: “È impossibile che quest’amore duri in eterno” è la sua sibillina malignità mattutina. Ad assisterci, nell’emergenza del dubbio, è il pronto soccorso della Chiesa: “Se qualsiasi immaginazione viene meno di fronte alla morte – han scritto i padri conciliari nella Gaudium et spes – la Chiesa, istruita dalla Rivelazione Divina, afferma che l’uomo è stato creato da Dio per un fine di felicità oltre i confini delle miserie terrene”. Nessuno, infatti, può tornare indietro e riscrivere il suo inizio; tutti, però, possiamo guardare avanti e ricalibrare, ogni giorno, il nostro finale. Il finale della nostra storia d’amore con Dio.
La speranza dell’attimo della risurrezione è forza motrice dell’attimo d’oggi: se davvero credo che nulla di ciò che sono andrà perduto nella memoria di Dio, allora in ogni piccolo gesto tenterò d’immettere una dose di speranza, perché di questi gesti non ce n’è uno solo che non vada a influire nel disegno finale della mia storia. “Risorgere”, per molti, è verbo legato al tempo futuro: “la risurrezione dei morti” è un qualcosa che verrà. Domani, dopodomani, fra un po’: Credo!
Ma quaggiù, nel tran–tran del nostro quotidiano, “risorgere” è verbo d’azione, verbo in azione: “La grande colpa dell’uomo non sono le sue cadute. La grande colpa dell’uomo è che può ricominciare in ogni momento e non lo fa”, scrisse Martin Buber. Il che, a ben pensarci, sono un po’ le prove generali di qualcosa d’immensamente più grande d’apparirci divino: vedendo le cose riprendere vita, scorgendo l’uomo rialzarsi dalla caduta, contemplando una ferita che si cicatrizza, capisco che la destinazione ultima dell’uomo non è la fossa: “Dio non ci ha creati per la tomba, ci ha creati per la vita bella, buona e gioiosa” ha riflettuto ieri all’Angelus il Papa commentando la risurrezione di Lazzaro. “È difficile immaginarlo, però” dice più di qualcuno. Per questo diciamo di credere, ammettendo di non saperlo, manco di riuscire a pensarlo: il fatto, poi, che qualcuno non s’aspetti più nulla dalla vita, complica ancor di più la fede nella risurrezione. Negare la risurrezione, però, è non aver conosciuto il Dio di Gesù Cristo. È dichiararsi cumulo di materiale.
“Vorresti dirmi che, dopo morto, tornerò come adesso?” dicono alcuni. Che noia tornare a vivere con questo scafandro pesantissimo di corpo usato. “Allora diventeremo tipo alieni, tutto spirito e niente mondo” dicono altri. Sempre in aria, che barba! Dunque? Molto di più. Saremo gli stessi di oggi, in maniera diversa: lasciamo a Dio il brivido della sorpresa, ci basti credere che accadrà. Oppure, a noi la scelta, non accadrà: “È l’ora fredda questa – scrive V. Woolf –: prima che scattino le luci. Qualche bucaneve in giardino. Pensavo: viviamo senza futuro. Questa è la cosa strana: coi nasi schiacciati contro una porta chiusa”.
Ammiro il bucaneve, ha un coraggio da leone: si apre la strada per il cielo sgomitando tra ghiaccio e gelo. D’inverno, sogno di ritrovarmelo appresso: devo farmi ripetere, ogni volta, cos’è la fiducia nella primavera. È test di valutazione per l’anima mia.
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Stasera, ore 21.05, su TV2000 (canale 28) andrà in onda la settima puntata di “Io credo”, programma di M. Pozza e A. Salvadore con la partecipazione di Papa Francesco. Ospiti della puntata, dal titolo “Credo la risurrezione della carne”, saranno, assieme a Papa Francesco, lo chef pluristellato Massimo Bottura e la squadra del Santa Lucia Basket (in carrozzina) di Roma, capitanata da Matteo Cavagnini.