Te lo trovi accanto nei momenti di maggior bisogno, di disperazione. Sta lì, magari in mezzo ad uno sconsolato abbandono, a dirti: “Ti amo per come sei. E ti amo troppo per lasciarti come sei”.

Cristo, al secolo Gesù di Nazareth, è l’ospite quotidiano della vita di quaggiù: è il Cristo della sorpresa, quello bestemmiato, solo intravisto, indubbiamente spiato. È il Dio in agguato di François Mauriac, quello che gli fece abbozzare parole sopraffini: “Non avessi conosciuto il Cristo, Dio sarebbe un vocabolo vuoto di senso – scrive l’autore di Vita di Gesù –. Il Dio dei filosofi non avrebbe avuto nessun posto nella mia vita morale”.



Dio, lassù, è un bellissimo sogno, anche una promessa. Cristo, quaggiù, è il sogno diventato segno, l’avveramento della promessa: “Era necessario che Dio s’immergesse nell’umanità, che in un preciso momento della storia un essere umano, fatto di carne e di sangue, pronunciasse certe parole, compisse certi atti”. Ma perché è stato necessario tutto ciò, François? “Perché io mi gettassi in ginocchio”.



In ginocchio, a dichiararsi per Lui: “Credo in Gesù Cristo suo unico figlio”.

A Betlemme, in una notte così tagliente da tagliare a metà la storia gigante – avanti Cristo, dopo Cristo: per tutti il tempo si conta così – le tenebre vennero attraversate da raggi di luce: perché il mondo ci vedesse meglio, ancor prima di sognare che il mondo credesse a Lui. Chi Gli credette, poi, divenne lui stesso luce per gli altri: a che Gli servì, altrimenti, camminare sulle acque se nessuno poi si prenderà la briga di seguirne le orme?

“Quanto è arrogante quest’uomo – è il pensiero di chi, ancora oggi, gli sbatte contro senza riuscire ad evitarlo –, prima, dopo: vuol fare girare tutto attorno a lui”. Più amore che arroganza: pretese che la sua storia – trentatré anni di facchinaggio a servizio dell’uomo, di cui trenta passati ad imparare l’arte – diventasse metro e misura di tutte le storie di prima, di dopo, qualsiasi storia.



Venne, dunque, per farci conoscere il Padre: la faccia di Cristo “è tutta suo padre!” Non solamente. Venne perché, dopo il Padre, noi conoscessimo noi stessi: è anche il nostro specchio, dunque. Per questo, forse, qualcuno non lo cerca più: non per pigrizia o malcelata delusione, ma proprio per la paura, un giorno, di trovarselo appresso e di dover fare i conti con Lui e il suo sorriso a specchio. Per la paura di vederci come siamo davvero, non come pensiamo d’essere.

Disse parole tutte d’un fiato, quasi tutte a bordo strada o nel segreto dei cuori. Quelle dette a bordo strada, appese in sacristia, soffocano. Le altre, quelle dette nel segreto dei cuori, restano le più allarmanti: d’allora è praticamente impossibile maledire qualcuno senza maledire anche Lui nello stesso istante. Le parole sono il suo biglietto da visita: “Non perché mi sia stato detto che tu eri figlio di Dio ascolto la tua parola – scrive André Gide –: ma la tua parola è bella al di sopra di ogni parola umana. Da ciò riconosco che sei il figlio di Dio”. Un’invisibile presenza, domiciliata nell’incandescenza delle parole.

Nessuno, bestemmiatori o adoratori, riesce a sottrarsi al fascino della sua presenza: nessun dolore è disposto a rinunciare alla sua promessa guaritrice. C’è uno sguardo a disposizione: “La fede non guarda solo a Gesù, ma guarda con gli occhi di Gesù – ha scritto Papa Francesco –: è una partecipazione al suo modo di vedere”.

Buffo è vedere com’è divisa la tifoseria: religiosi e giusti contro, miscredenti e puttane incontro. Fatti tutti i conti, la morte in Croce fu la più squallida delle partite vinte a tavolino, poi ribaltate dal verdetto della storia: l’Uomo era affidabile. Forse troppo bello per essere creduto: “Ho fatto la prima comunione e basta. Mi pareva tutto poco credibile: i dogmi, il paradiso, l’inferno, che il Cristo sia morto per me. Troppo bello per essere vero” scriveva Ferdinand Céline. Non abbisogna di correzioni moderne il Cristo: continua a tenere accesa la luce nelle notti rimaste senza. Perché il suo sogno è quello della prima notte: che le notti s’illuminino a giorno. Poi sarà quel che Dio vorrà. Anzi, ciò che l’uomo deciderà: con Lui non ci potrà mai essere gioia senza libertà. Anche la libertà di rifiutarlo.

Questa sera, ore 21.05, su TV2000 (canale 28) andrà in onda la seconda puntata di “Io credo”, programma di M. Pozza e A. Salvadore con la partecipazione di Papa Francesco. Ospiti della puntata, dal titolo “Credo in Gesù Cristo”, saranno, oltre a Papa Francesco, l’attrice e conduttrice televisiva Martina Colombari e Sandro Pozza, fratello di don Marco, con la comunità parrocchiale di Calvene (Vicenza).