Io, noi e Gaber è uscito nel 2023 e viene proposto questa sera al Meeting di Rimini (Sala Neri Generali-Cattolica, ore 21:00). È un docufilm su Giorgio Gaber diretto da Riccardo Milani (regista ormai acclamato e marito della brava Paola Cortellesi). Partiamo dalla regia. Il prodotto è ben confezionato e montato, i filmati Rai degli anni ’60 non sono buttati lì a caso, non è Techetechetè, c’è un filo narrativo che unisce il tutto, così come tutta la parte dal 1970 in poi con gli spettacoli teatrali e le dichiarazioni di Gaber. Buona la realizzazione stilistica delle interviste, con i personaggi che ascoltano e canticchiano le canzoni e poi parlano in voice-over, e anche le ambientazioni, una su tutte la latteria bar con biliardo dove c’è Michele Serra. Nessun titolo delle canzoni e nessun sottopancia degli intervistati, li vediamo alla fine in riquadrini con il loro nomi e cognomi, peccato che questo sia un documentario e non un film, c’è un po’ di snobismo cinematografico.



Sui personaggi che lo raccontano devo fare una distinzione, oltre ai familiari, a Paolo Jannacci, Ricky Gianco, Mogol, Gianni Morandi, al suo tecnico Gianfranco Aiolfi, Paolo Del bon (presidente della Fondazione Gaber), Massimiliano Pani, Vincenzo Mollica, Francesco Centomare, vi è una sfilata di grossi nomi famosi (Gino e Michele, l’on. Bersani, Fabio Fazio, Jovanotti, il già citato Serra, Mario Capanna) che hanno la pretesa di spiegare l’evoluzione di Gaber (perciò le sue ricerche, la sua arte e vita) come se fosse stato un fatto sociale con il leader sessantottino legato ancora ai suoi ricordi battaglieri.



Il titolo Io, noi e Gaber è quanto mai centrato, c’è l’uomo Gaber con se stesso, le sue inquietudini e dubbi con uno sguardo sulla società e gli atri, cioè noi.

I primi quaranta minuti raccontano l’esordio di Giorgio Gaber, la consacrazione come cantante, Mina, Jannacci, Celentano e poi come conduttore televisivo. Alla fine degli anni ’60 c’è il cambio di rotta dell’uomo di spettacolo che inventa il Teatro Canzone e il Signor G incontrando il pittore e scrittore Sandro Luporini, comunista dentro, che diventa il suo paroliere. Nasce un’amicizia e una stima che durerà sempre.



E qui esce tutta la ricerca umana, la sensibilità di Gaber con una libertà impressionante. La tv gli andava più che stretta, la considerava violenza, i moti del ’68 avevano risvegliato in lui un desiderio di affermazione della persona contro il potere. Ma non si schiera con un partito, nonostante si consideri di sinistra. Poi avviene un’altra svolta nei primi anni Settanta, si accorge del conformismo delle proteste di massa, della rivoluzione come concetto astratto e scrive Chiedo scusa se parlo di Maria, il cambiamento della società non può essere esclusivamente politico, ma dell’uomo. Continua con Un’Idea, L’Elastico, Cerco un gesto naturale.

Nel 1978 esce Polli di allevamento e il giornalista Vincenzo Mollica dice che l’artista ha riscontrato la degenerazione dei movimenti e che l’ideologizzazione ha portato a mettere la vita in una scatola. Bersani lo paragona a Pasolini per il suo essere libero dagli schemi e dall’appiattimento su tesi confezionate e che Il tema esistenziale non te lo risolve la politica.

C’è anche la rabbia e Gaber lo dice, in un’intervista, ma esce la passione per la vita, il desiderio di cercare un senso e un motivo.

L’analisi dei personaggi famosi citati è di fatto una sconfitta di desiderio di cambiamento tutto ideologico e, questo lo aggiungo io, ha portato nella realtà dei fatti a disastri culturali e sociali, ma questo loro non lo esprimono.

C’è poi un delicato e commovente passaggio su moglie, figlia e amore. Dice Gaber: Bisognerebbe avere il pudore di parlarne poco, credo che sono decisive per la nostra esistenza.

Si ritorna poi sulla sua evoluzione artistica con Destra-Sinistra e La mia generazione ha perso, altra botta per i compagni.

Ma la cosa più vera e quella che esalta tutto il percorso umano di Gaber la dice Massimo Bernardini quasi a conclusione citando la strofa di Verso il terzo millennio:

E tu mi vieni a dire

Quasi gridando

Che non c’è più salvezza

Sta sprofondando il mondo

Ma io ti voglio dire

Che non è mai finita

Che tutto quel che accade

Fa parte della vita.

Poi si conclude con Gaber dal vivo con una strofa della canzone C’è solo la strada, dove il percorso della vita è inteso come l’unica salvezza.

Giorgio Gaber è stato invitato dal Meeting di Rimini nel 1985 e 1991 in momenti non da salone principale e da concerto, ma come incontro personale con domande e risposte, andateli a cercare. Andate a trovare anche le poche righe geniali che scrisse don Luigi Giussani sulla canzone L’Appartenenza.

Qui mi fermo e chiedo scusa per la sintesi del mio scritto che riesce a rivelare forse solo in parte l’artista, il poeta, l’uomo Giorgio Gaber. Vedetevi il docufilm.

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