Il Ramadan è per i musulmani il nono e il più sacro mese del calendario islamico, dura 29-30 giorni e ricorda l’apparizione nel 610 dell’angelo Gabriele al profeta Maometto per rivelargli il Corano. La sera del 22 aprile, terminato l’ultimo giorno di digiuno, è iniziata la festa di Eid al-Fitr, forse la più sentita festa in tutto l’islam. Due giorni dopo, nella Repubblica islamica dell’Iran, sono riprese le esecuzioni dei condannati a morte.
Sospese per il mese sacro, andava recuperato il tempo perduto. Dal 29 aprile all’8 maggio, 10 giorni, sono state impiccati 118 prigionieri di cui due donne.
L’Unione Europea ha da poco condannato l’esecuzione del dissidente iraniano-svedese Habib Chaab accusato di terrorismo. Chaab era detenuto in Iran dall’ottobre 2020, dopo essere sparito mentre si trovava in visita in Turchia, per riapparire in Iran ed essere processato a Teheran. Lo Stato iraniano non riconosce la doppia nazionalità e Habib Chaab è stato impiccato.
Accusato di “corruzione sulla terra” per aver guidato un gruppo ribelle, è stato condannato a morte il 6 dicembre e la corte suprema iraniana ne ha confermato la sentenza a marzo. Avrebbe organizzato attacchi contro lo Stato islamico per conto dei servizi di spionaggio israeliani e svedesi. La Svezia, presidente di turno dell’Ue, ha dichiarato attraverso il suo ministro degli Esteri Tobias Billstrom che la pena di morte è una pena inumana e irreversibile e che insieme al resto dell’Ue ne condanna l’uso in ogni caso.
Ma appunto siamo l’Europa. In Iran la situazione è assai diversa, perché la Repubblica Islamica applica al suo sistema legislativo la Sharia, regole di vita e comportamento che indicano la condotta morale, religiosa e giuridica per ogni cittadino. La Sharia è legge assoluta perché è legge di Dio, rivelata al profeta Maometto e non discutibile.
Di inumano e irreversibile vi è la tragedia di un popolo dalla cultura millenaria che vive la violazione di quei diritti fondamentali e inalienabili che sono la ricchezza della civiltà umana. Le proteste dei giovani iraniani avevano scosso l’opinione pubblica internazionale: manifestazioni davanti alle ambasciate iraniane si sono susseguite per mesi, nell’indignazione generale per le immagini di violenza contro ragazze disarmate che agitavano i loro chador verso la polizia morale e invocavano la libertà. La lista dei morti e dei feriti mutilati dai colpi agli occhi, ai genitali, al veleno messo nell’acqua per le studentesse delle scuole, era un resoconto macabro che è stato raccontato finché sono arrivate le immagini dei telefonini che riprendevano i funerali e le madri ad abbracciare la terra, ultima coperta sui corpi dei loro figli. Adesso, attraverso le informazioni delle sacche di resistenza che cercano di tenere il conto della repressione, ci giungono ancora le storie di persone che raccontano un Paese giovane, pieno di voglia di vivere e conoscere il resto del mondo, che desidera pensare liberamente senza per questo essere torturati, stuprati, mutilati e infine impiccati.
I volti ci parlano. Come quelli di Yousef Mehrad e Sadrollah Fazeli Zare, giustiziati per blasfemia. Yousef e Sadrollah sono stati messi a morte l’8 maggio. Non è stato possibile sapere con certezza dove siano stati ammazzati, ma secondo fonti indipendenti è stato possibile indicare il carcere di Arak. Sempre secondo le notizie che riescono ad arrivare, Yousef Mehrad era stato condannato a morte con l’accusa di “insulto al profeta” e “insulto alle santità religiose e islamiche”. Le accuse di Sadrollah Fazeli Zare erano: “insultare il profeta, apostasia, accusare la madre del profeta di adulterio, profanare il Corano bruciandolo, insultare le santità e pubblicare foto riservate senza permesso”. Per entrambi il diritto alla difesa e a un processo equo non sono stati rispettati.
E sempre attraverso le immagini ci sono arrivati i volti provati e segnati dei prigionieri arrestati per le manifestazioni di piazza. Il regime ha trasmesso i processi come monito per gli altri manifestanti o a chi pensava di voler scendere nelle strade e protestare. Hanno fatto il giro del mondo, hanno spaventato le famiglie e poi non sono state più trasmesse.
La pena di morte viene applicata per un’ampia gamma di “reati”, tra cui i rapporti sessuali consensuali e la blasfemia. Nel 2013, la Repubblica islamica aveva giustiziato Mohsen Amir Aslani per aver messo in dubbio la narrazione del Corano sulla vita del profeta Younes (Giona) nel ventre di una balena.
La vicenda che ha scosso anche chi vive molto lontano dall’Iran è quella della dottoressa Aida Rostami, 36 anni, che stava curando i manifestanti a Ekbatan e in altri quartieri occidentali di Teheran. Non è riuscita a sfuggire a un destino ormai segnato ed è scomparsa mentre cercava di reperire il necessario per medicare i ragazzi feriti. Dio deve aver contato tutte le sue lacrime. Non ha tradito il suo giuramento di medico. Hanno ritrovato il suo corpo con le mani spezzate, il volto tumefatto, il bacino scomposto. Il caso è stato archiviato come incidente d’auto anche se il veicolo non è stato mostrato alla famiglia. I genitori hanno riavuto il suo corpo ed è sepolta nella regione di Goran.
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